Beata imperfezione. Perché accettarsi non è rassegnarsi
“L’arte di sbagliare alla grande”, ovvero non avere paura dei nostri errori: e se lo dice un professore...
Uno, due, tre.... No, non andremo avanti tanto. Giusto fino a dieci palleggi con un pallone. E qui sta l’Errore, sì con la “E” maiuscola, per Enrico Galiano, sì il suo sbaglio peggiore. Il cruccio del 43enne “prof” e scrittore originario di Pordenone diventato un punto di riferimento per molti colleghi insegnanti - che non esitano a promuovere tra i loro studenti i suoi video (divertentissimo quello sulla didattica a distanza) che spopolano sui social - non è quello di non aver allenato abbastanza i suoi piedi per diventare un grande calciatore. È piuttosto il fatto di essersi fermato a dieci, di essersi accontentato di arrivare all’obiettivo che si era prefissato da ragazzino un po’ schiappa in un campo da calcio, senza provare a fare di più. Senza osare: un errore, nella sua sostanza, che confessa di aver ripetuto all’infinito nella sua vita in varie declinazioni a seconda dell’età e delle situazioni: dal non aver avuto il coraggio di dire “ti amo” a una ragazza al fatto di non riuscire a dire a suo padre quel che provava davvero per lui e quel che pensava di lui, piuttosto che l’essersi lasciato convincere dal parere di un docente universitario che non valeva la pena coltivare il sogno di fare lo scrittore o il fatto di scappare dal dolore e così via, raccontando anche disavventure che potevano costargli care. Un libro, “L’arte di sbagliare alla grande”, sincero e che parla in modo diretto ai ragazzi, tanto che la postfazione è una lettera a uno studente bocciato, invitandoli a guardarsi dentro e tirare fuori le proprie qualità e i propri difetti, senza farsi condizionare dalla “sindrome da bianchetto” per cancellare gli errori dal quaderno della propria esistenza, perché l’imperfezione è vita, il senso di incompletezza che porta in sé è l’essenza dell’essere umani e ci spinge a migliorarci. Senza dimenticarsi di coltivare relazioni importanti. Un libro che parla però anche ai genitori, agli insegnanti e agli educatori in genere, spronandoli (senza dirlo, e qui sta il bello) a impegnarsi fino in fondo a conoscere i propri figli, gli studenti e i ragazzi che si trovano davanti, in classe o in palestra o su un campo da gioco, anche se a volte sembra un’impresa improba di fronte all’apparente indifferenza degli adolescenti. Con la consapevolezza che “è molto più importante insegnare a rialzarsi che a non cadere mai; insegnare a essere veri invece che perfetti”.
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