Cage, l’autobiografia: la vita, la musica, il ’900

Nel dicembre del 1966, non era solo il critico David Sylvester quando incontrò per conto della BBC John Cage. Con lui a dar manforte c’era il compositore Roger Smalley. L’intervista però rimase inedita, anche se ventuno anni dopo, Sylvester incontro nuovamente l’autore di 4’33’’ per un’altra intervista che andò a buon fine. Nel centenario della nascita di John Cage, anche il Italia, dove il compositore negli anni Settanta conquistò un seguito non disprezzabile che si concluse nella leggendaria esibizione al Teatro Lirico di Milano. Non va dimenticata però anche la partecipazione come esperto di funghi alla trasmissione di Mike Bongiorno, Lascia o raddoppia? Tornando al compositore rivoluzionario, allievo di Schoenberg anche se non propugnatore del suo “credo” atonale e dodecafonico, Cage non disdegna, bersagliato dal fuoco di fila delle domande di Sylvester e del suo collega, di tracciare il proprio personale apprendistato creativo di musicista sempre teso alla sperimentazione. Le sue risposte sono trancianti, lapidarie, illuminano il passato e la tradizione gettandoli sulla graticola delle sue incendiarie idee. Non traballa quando espande la propria musica all’arte, alla letteratura, al cinema: i compagni di strada sono i nomi che s’irradiano per tutto il ’900 e oltre. Joyce e i suoi Finnegan’s Wake, il cinema di Warhol, Jasper Johns, e poi Webern e i suoi sconvolgenti e stringatissimi brani che in certo qual modo aprirono la strada alle istanze dell’avanguardia di Darmstadt. Ma Cage era già balzato in avanti. Forse al XXI secolo.

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