«Quando cambia il modo di comunicare, cambia anche la natura delle rivoluzioni». Lo dice Manuel Castells, 70 anni, natali spagnoli e una vita divisa tra Barcellona e l’America, considerato tra i maggiori sociologi viventi e il massimo esperto di dinamiche del web. Ha teorizzato la democrazia digitale e nel 1996 ha dato alle stampe L’età dell’informazione, che resta ancora un classico del genere. Castells è uno studioso, un meditativo: di solito impiega un quinquennio a scrivere i suoi saggi accademici, puntualmente ripresi delle università di mezzo mondo. Ma questa volta ha scritto di getto (circa un semestre) un testo dall’inequivocabile titolo Reti di indignazione e speranza. appena pubblicato in Italia. La constatazione, per Castells, è molto semplice: negli ultimi 10-5 anni i movimenti sociali più significativi sono nati su Internet e poi sono arrivati in piazza. È accaduto per il “movimento delle pentole” in Islanda, all’indomani della bancarotta dello Stato, è successo con “Occupy Wall Street”, che poi si è esteso in altre città americane a macchia d’olio, ed è stato sotto gli occhi di tutti con la primavera araba, da piazza Tahir alla Libia e con gli “indignados” spagnoli. Questi movimenti dal basso, nati in Rete ma sfociati nella vita reale, stanno cambiando il mondo: come evolveranno? Castells non azzarda previsioni, ma è certo che «abbiano lasciato un segno molto forte: ad esempio hanno terremotato la fiducia nelle banche e nei politici». È questa la nuova democrazia digitale? Castells non dà risposte, ma ci invita a riflettere sulla necessità di ripensare il web e la partecipazione alla cosa pubblica.
_____
MANUEL CASTELLS, Reti di indignazione e speranza, Università Bocconi editore, Milano 2012, pp. 304, 25 euro
© RIPRODUZIONE RISERVATA