«Lasciatemi il tempo di far le cose per benino, rifacendomi cioè alla grammatica italiana, e su su nel giro di 20 anni vi riempirò di nuovo la chiesa. Ma questa volta d’uomini ardenti, preparati e coerenti. Capaci di resuscitare anche la festa del Titolare, se occorrerà, ma incapaci di sdondellar campane o di ornar di lumiere un altare senza aver prima profittato tutto l’anno del sacerdote per sgravarsi volta volta dei loro peccati». Sono parole di don Lorenzo Milani, il coraggioso prete toscano (1923-1967) che anticipò di decenni i venti innovatori del cattolicesimo post conciliare, portando avanti con coraggio, tenacia e fede sincera, la sua battaglia per togliere dalla povertà e dall’ignoranza i suoi parrocchiani, facendone uomini pensanti e in grado di farsi strada nella vita: prima a San Donato di Calenzano, vicino a Prato, e quindi “esiliato” nel piccolissimo borgo appenninico di Barbiana per certe sue intemperanze rispetto alle disposizioni ricevute dai superiori. Sacerdote, insegnante, scrittore, educatore, don Lorenzo Milani è stato una delle figure più discusse nel mondo politico e sociale del dopoguerra. Un dopoguerra segnato dal duro scontro fra il Partito comunista e la Democrazia Cristiana (culminato nelle elezioni del 1948) e dal faticoso tentativo di affrancamento della classe operaia da un’imprenditoria senza scrupoli e avversa - salvo rare eccezioni - a qualunque tentativo di migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche. Dall’infanzia agiata alla scelta del seminario, dalle incomprensioni con le gerarchie cattoliche vaticane alla scuola di Barbiana fino alla stesura della celeberrima Lettera a una professoressa e agli ultimi difficili anni passati a combattere contro un male incurabile che se lo portò via poco più che 40enne, l’affascinante biografia di don Milani è ora ricostruita in una graphic novel confezionata per le edizioni Becco Giallo da Carlo Ridolfi con i disegni di Gabriele Ba e Riccardo Pagliarini. Il libro, fresco di stampa, ripercorre le tappe fondamentali della vita di don Milani e ha il merito di farlo con chiarezza e semplicità, senza scivolare in troppo facili “tirate” retoriche per far conoscere piuttosto nel concreto, attraverso i fatti documentati, il suo impegno per l’emancipazione dei poveri e lo straordinario valore pedagogico della sua esperienza di maestro.Il “fumetto” insiste inoltre per diverse pagine sull’altra grande battaglia condotta dal sacerdote di Barbiana: quella contro la guerra e l’uso delle armi e in favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare, allora non ancora riconosciuta e anzi vista dai più - gerarchie ecclesiastiche comprese - come un possibile vulnus all’amor di patria e al bene comune in esso identificato. Una patria che per lui era rappresentata invece e soltanto, verrebbe da dire francescanamente, dagli ultimi, come si trovò a dire una volta, scrivendo queste profetiche e attualissime parole: «Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri».
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C. Ridolfi (a cura di) con disegni di G. Ba e R. Pagliarini, Don Milani - Bestie, uomini e Dio, Becco Giallo edizioni, Milano 2014, pp. 127, 14 euro
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