Dieci reportage inediti in Italia, scritti tra il 1962 e il 1966, dieci storie di un’Africa in trasformazione, dieci articoli che raccontano la nascita di nuovi Stati dai nomi cambiati nel tempo e ormai quasi dimenticati, l’ascesa e la caduta dei capi che li hanno guidati, la crisi dei primi sistemi politici e le vicende della gente comune. L’atmosfera, la confusione, gli odori, i colori del Tanganica (oggi Tanzania), del Sudan, della Rhodesia (oggi Zimbabwe), della Nigeria prendono vita dalle pagine di Se tutta l’Africa, «un libro di avventure, ma di avventure
politiche - scrive Ryszard Kapuscinski, reporter di guerra, scrittore ma anche profondo analista degli eventi osservati, nell’introduzione alla prima versione del libro, datata 1968 -. In Africa mi appassionava l’esotismo della vita politica, mi interessava soprattutto il modo in cui la tradizione locale, il costume, l’ambiente influivano sullo stile politico, deformandone i meccanismi per ricrearli in nuove forme. Questo rapporto tra “costume” e “politica”, il loro reciproco influenzarsi: che magnifico oggetto d’osservazione!». Il titolo del libro, ancora oggi una testimonianza importanza delle decolonizzazione del continente, riprende un concetto («Se tutta l’Africa fosse unita...») del primo presidente del Ghana indipendente Kwame Nkrumàh (1909-1972), il cui sogno erano gli Stati d’Africa. Nel testo, che è una selezione di reportage di quel cruciale periodo che sono stati gli anni Sessanta per il continente africano, Kapuscinski da acuto spettatore qual è stato, descrive le vicende alle quali ha assistito, rischiando a volte la sua stessa vita per raccontare dalla prima linea la storia che andava dipanandosi sotto i suoi occhi, e cerca di analizzare e spiegare le sfide e le difficoltà davanti alle quali si sarebbero trovati i giovani Stati. Si va dalla relazione di una seduta del Parlamento del Tanganicana all’analisi di uno dei primi colpi di Stato (in Nigeria), dallo studio dell’ideologia nella costruzione dell’unità africana e della nascita dell’Organizzazione dell’unità africana al saggio sui problemi delle trasformazioni del continente. «Ho voluto mostrare qualche scena del dramma africano di cui non visto l’inizio e che forse non avrà mai fine - spiega ancora il giornalista, sinistramente profetico nelle sue pagine ancora attuali a distanza di oltre 40 anni -, qualche scena colta casualmente e casualmente scelta per questa raccolta. Non ho cercato di attualizzare niente: sarebbe un compito senza speranza. Il dramma continua a svolgersi e, in realtà, ogni libro di questo genere dovrebbe chiudersi con la parola: “Continua”» In Se tutta l’Africa il lettore torna all’intensità e alla densità del racconto, all’acutezza e alla complessità dell’analisi che già erano emerse in libri come Ebano o La prima guerra del football e altre guerre di poveri. A distanza di decenni i suoi reportage risultano ancora strumenti formidabili per chiarire i problemi dell’Africa. Kapuscinski ha avuto la capacità di vedere i fatti come parte di un lungo processo storico che dura fino ai nostri giorni e leggendo queste pagine, si ha l’impressione di leggere delle considerazioni sui dilemmi odierni: «Non sono andato in Africa in cerca di avventure, a caccia di elefanti o per trovarci i diamanti».
RYSZARD KAPUSCINSKI, Se tutta l’Africa Feltrinelli, Milano 2012, pp. 288, 16 euro