Il canto di Haruf nella “pianura” del quotidiano

Canto della pianura è una storia semplice, ambientata in un paesaggio scabro, quella pianura evocata dal titolo che traduce il Plainsong originale inglese. Lo scrittore americano, scomparso lo scorso anno, conosce d’altrocanto assai bene l’arte di raccontare la vita per quello che è e non tradisce il lettore.Il secondo romanzo della Trilogia della pianura è uscito per NN nella traduzione di Fabio Cremonesi, che così racconta la sua esperienza: «Haruf arriva dritto e apparentemente senza sforzi giusto là dove si propone di volta in volta di arrivare: alla testa, al cuore, allo stomaco; questo è il mistero della sua scrittura, una voce evocativa e potente, ma semplice, mai virtuosistica o artificiosa». La casa editrice milanese pubblicherà nel 2016 anche Crepuscolo, che insieme al primo Benedizione, completa la trilogia.Plainsong significa melodia semplice, tecnicamente « una forma di canto a cappella monodico eseguito all’unisono». Ed è questo canto che si perde nella pianura e tra le case di Holt (cittadina immaginaria che ricalca Yuma, in Arizona), voci di uomini e donne comuni, che fanno i conti con le loro vite scandite al ritmo delle luci e delle ombre di un inverno percorso dal vento del Nord e dalle tempeste sugli altopiani, tra le strade di questa cittadina immaginaria, dentro le case e sulle vecchie verande che danno sui giardini. E si respira un po’ l’aria di quel Sud che pervade i romanzi di Cormac McCarthy e, prima di lui, di Faulkner.Così il lettore incomincia ad abitare quei luoghi, a camminare sulle stesse strade di Guthrie e dei suoi due figli, Ike e Bobby, di Victoria e di Maggie Jones, dei vecchi fratelli McPheron e della loro fattoria fuori città. Haruf sceglie una narrazione che procede per brevi capitoli, i cui titoli riportano sempre in frontespizio il nome dei personaggi. E così la storia incomincia con l’immagine di quest’uomo di mezza età, Guthrie, che guarda fuori dalla finestra della sua cucina, semplicemente. Ha due figli, Ike e Bobby, e una moglie, Ella, che rimane sempre chiusa al buio nella sua stanza. C’è poi Victoria Roubideaux, ragazza sedicenne alle prese con una gravidanza che le costerà l’allontanamento da casa. In poche pagine emerge la cifra stilistica di Haruf, i fatti riportati come si racconterebbe una storia a un bambino, i dialoghi scarni, asciutti, i capitoli come istantanee. Personaggio centrale del romanzo è Maggie Jones, donna solida, saggia e matura - come lo stesso Haruf l’ha definita - colei che riuscirà a mettere insieme i pezzi mancanti delle vite di chi la circonda. Sarà lei a rimettere ordine nella vita di Guthrie dopo la fine della storia con la moglie Ella e sarà sempre lei ad affidare Victoria nelle mani dei fratelli McPheron, incapaci di reagire immediatamente alla folle proposta di Maggie. «Oh, so che sembra una pazzia, disse lei. Suppongo lo sia. Non so. E nemmeno mi importa. Ma quella ragazza ha bisogno di qualcuno e sono pronta a fare qualsiasi cosa. (…). E anche voi – sorrise – dannati vecchi solitari, avete bisogno di qualcuno. Qualcuno o qualcosa di cui prendervi cura, per cui preoccuparvi, oltre a una vecchia vacca fulva. C’è troppa solitudine qui. Prima o poi morirete senza aver avuto neppure un problema in vita vostra. Non del tipo giusto, comunque. Questa è la vostra occasione».Ecco, i personaggi di Canto della pianura devono decidere, a un certo punto, cosa fare della propria vita. E sembra poco. Magari un semplice movimento, o la decisione di voltare pagina per sempre, in ogni caso il tutto senza grandi strappi dell’anima, vivendo il quotidiano che accade passo a passo.

Kent HarufCanto della pianuraNN edizioni, Milano 2015, pp. 304, 18 euro

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