«Se la padrona avesse immaginato la propria morte, forse non si sarebbe aspettata che le sarebbe toccato il dubbio privilegio di essere l’ultima persona a morire nel paese vecchio e non avrebbe adattato la dipartita alle circostanze che vennero a determinarsi, molto diverse da quelle dei trapassi più pomposi della sua schiatta; non avrebbe mai creduto che l’avrebbero trovata esamine presso i finestroni del salone delle Vergini Martiri, ai piedi del ritratto del padre, il quale, senza rendersi conto del corpo nudo della figlia moribonda, sdraiata sul pavimento a mosaico, osservava, altero e felice, una scena famigliare lontana...». Sono stralci da una pagina fra le più belle de Il testamento dei fiumi, romanzo dello spagnolo Jesús Moncada (1941-2005) appena comparso sugli scaffali delle nostre librerie. Parole che condensano alcune fra le caratteristiche peculiari e le qualità migliori del libro: la sottile ironia che ne trama la scrittura - figlia di un atteggiamento di irriverente pietas per le umane debolezze -; il lessico ricco e ricercato; la scelta stilistica di “personificare” gli oggetti (qui il quadro che ritrae il genitore della nobildonna, ma altrove è l’occhio immobile di una polena che immortala la distruzione del locale in cui è abbandonata o è il fiume Ebro che assiste all’industriarsi faticoso degli uomini per trarre dalle sue acque i beni di sostentamento) allo scopo di raccontare la vita nel suo scorrere quotidiano e rileggere le storie e la Storia senza infingimenti. C’è questo ma c’è anche molto altro nel romanzo di Moncada, eppure provate a digitare il suo nome su un motore di ricerca: prima di trovare una citazione in italiano occorre sfilare sino a fondo pagina, dove compare la nota di Gran Vía, il piccolo editore umbro (specializzato in narrativa di area iberica e latino-americana) cui va il merito di aver tradotto, a 26 anni di distanza dalla sua uscita in Spagna, questo meraviglioso romanzo. Un’operazione condotta da Simone Bertelegni con il contributo dell’Istitut Ramon Llull e che restituisce al lettore italiano un’opera e un autore (del quale circolava sin qui solo una raccolta di racconti, Amore fatale, edita da Zero91) colpevolmente ignorati dal nostro mercato editoriale ma degni di figurare a nostro avviso fra i classici del Novecento.Il testamento dei fiumi è un grande affresco di un Paese (la Spagna) e di un’epoca (il tormentato “secolo breve”) riletti attraverso la memoria corale di Mesquineza, borgo natale dell’A.: un minuscolo villaggio aragonese di lingua catalana situato tra i fiumi Ebro e Segre, demolito e ricostruito più a monte nei primi anni ’70 per fare posto a una gigantesca diga. Con la scrittura accattivante di cui abbiamo offerto un saggio e nella quale si miscelano realtà e fantasia, mito e storia, nostalgia e denuncia, Moncada ripercorre il lento disfacimento – nell’«immensa prigione» della Spagna franchista - della sua Macondo popolata di marinai, minatori, nobili decaduti e ricchi borghesi che si ostinano a combattere l’ineluttabile destino collettivo dello sradicamento dalle proprie case, aggrappandosi alle passioni, agli amori, alle amicizie cresciute sul terreno di una comune appartenenza a una terra dura e avara, dalla quale solo il remo e il piccone permettevano di trarre sostentamento.
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Jesús Moncada, Il testamento dei fiumi, Gran Vía editore, Terni 2014, pp. 317, 17 euro
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