È un McEwan meticoloso, quello che narra del filo sottile che lega le vite della rispettabile giudice Fiona Maye, esperta di diritto di famiglia e chiamata a decidere sui casi più difficili, del di lei marito, un fedifrago professore universitario in piena crisi di mezza età, e del giovane Adam Henry, 17 anni e qualche mese, ma sempre troppo pochi per poter decidere in autonomia. In gioco c’è il rifiuto di una trasfusione necessaria a superare una forma aggressiva di cancro: Adam e la sua famiglia sono Testimoni di Geova, per loro la trasfusione equivale alla blasfemia. Ma non è la storia del giudice buono che salva il ragazzino, quella che ci racconta Ian McEwan con la sua solita, mirabile prosa. È la vicenda di un amore platonico e adolescenziale, la paura della solitudine e del giudizio degli altri, la dimostrazione di quanto tutto possa ri-iniziare quando sembra perduto. Spesso, non sempre, perché questa è una ballata dolente, un romanzo sulla consapevolezza che ogni scelta nasce da una rinuncia, ogni principio da un’altra fine.
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Ian McEwan, La ballata di Adam Henry, Einaudi, Torino 2014, pp. 202, 20 euro
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