La Cecenia ferita di Irena Brezná, fra ira e dolore

Con Le lupe di Sernovodsk di Irena Brezná, sugli scaffali da poche settimane, la casa editrice Keller torna a proporre un reportage letterario, genere che sembra riscuotere sempre più consensi nel mercato asfittico dell’editoria nazionale e cui il torchio trentino ha dedicato una collana mirata, suggestivamente intitolata “Razione K”. Dopo l’uscita, nei mesi scorsi, di Paesaggi contaminati di Martin Pollack (destinato ad avere presto un seguito dedicato però alla sola regione della Galizia orientale), mandato in libreria in occasione delle Giornate della Memoria e del Ricordo, ora, con questo nuovo, intenso e meritorio lavoro, la collana va a toccare il nervo scoperto delle guerre cecene che insanguinarono Il Caucaso, facendo migliaia di morti e feriti, per un quindicennio abbondante, a partire dal 1991. Un massacro avvenuto nel quasi totale disinteresse dell’opinione pubblica mondiale, che a ridosso della caduta del Muro di Berlino era più concentrata sui percorsi legati alla fine della Guerra fredda nel colosso tedesco appena riunificato e ai contraccolpi politico-economici del crollo sovietico al di qua della cortina di ferro piuttosto che oltre gli Urali e il Mar Nero. Il libro di Irena Brezná raduna i reportage effettuati dalla giornalista e scrittrice di origine slovacca ma da tempo residente in Svizzera e suona come un monito durissimo nei confronti di un Occidente schizofrenico, il quale, come ha scritto la giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa da un sicario probabilmente vicino al Cremlino giusto un decennio orsono, «ha adottato un doppio standard: esistono i diritti dell’uomo canonici e inalienabili per un utilizzo interno, occidentale, e altri diritti più labili, quasi inesistenti, per gli ex sovietici, ivi compresi i ceceni oppressi dal pesante arbitrio dei militari». Brezná, vestendosi come una donna cecena, ha visitato i villaggi distrutti dalla furia dei militari e successivamente, come reporter, le città del Caucaso settentrionale, con un’attenzione particolare rivolta alle donne – indomite nell’andare avanti con dignità e coraggio nonostante le violenze subite – e ai terroristi ceceni, traendone in entrambi i casi pagine di grande impatto. Si leggano queste poche righe, dettate al momento dell’ingresso delle profughe nelle proprie case sventate dalla furia della soldataglia russa, per farsene un’idea: «Le donne si muovevano con cautela in mezzo agli oggetti maltrattati, evitavano di toccarli come se non appartenessero più a loro. I fili sottili che avevano unito quegli oggetti ai proprietari di lunga data erano stati recisi. Ma quelli che avevano sottratto le case alle contadine non li vedemmo. Cercavo di immaginarmi le loro ebbre risate, mentre sparavano alle lampade, aprivano barcollando i frigoriferi, trafugando con parole scurrili collant e biancheria da donna, defecando vicino ai materassi [...]».Cronaca e letteratura vanno insieme a confezionare una denuncia che è un pugno nello stomaco; merito anche di una lingua suggestiva (nell’ottima traduzione di Alice Rampinelli), incalzante e ritmata, capace di mostrare l’orrore e il dolore senza indulgere in retorica ma portandocelo così vicino agli occhi da non poterlo, questa volta, ignorare.

Irena BreznáLe lupe di SernovodskKeller, Trento 2016, pp. 211, 16 euro

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