«Delectationis causa legebamus olim / de Lancillotto, cum amor ursit eum/; soli eramus et sine suspicione ulla. // Semel atque iterum oculos impulit nobis / libri lectio et pallore faciem sparsit; una / modo pagina, tamen, evicit nos: // Cum legebamus tantum amatorem / cupita labia osculari, iste, qui se / numquam a me seiunget, / Toto pectore tremens osculum dedit / mihi in ore. Leno fuit liber et eius / auctor! Non ultra legimus ibi». Anche i non avvezzi al latino, leggendo questi versi, avranno forse colto che si tratta di Dante, per l’esattezza del celeberrimo finale del Canto V dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca, per intendersi («Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse; / soli eravamo e sanza alcun sospetto.// Per più fïate li occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso; / ma solo un punto fu quel che ci vinse. // Quando leggemmo il disïato riso / esser baciato da cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, // la bocca mi baciò tutto tremante. / Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non vi leggemmo avante»). L’impresa, che riguarda l’intera Divina Commedia e non il singolo canto della Cantica più amata, può a prima vista apparire quale frutto di erudizione (è da fine Ottocento che nessuno vi si peritava più) ma non viene da un cattedratico universitario quanto da un medico chirurgo milanese in pensione, Antonio Bonelli. Questi, già autore di libri sul recupero del patrimonio culturale (dagli antichi amboni ai cinquanta magnifici battisteri italiani, sempre illustrati da Nicoletta Astori) è ben noto nel Lodigiano, dove ha presentato solo qualche anno fa proprio le sue ricerche artistiche e dove si trova a passare spesso e volentieri le sue giornate, per l’esattezza a Somaglia, dove risiede la Astori, anche autrice dell’ullustrazione in copertina di questa Latina Translatio pubblicata per i tipi del Centro tipografico livornese. Il coraggioso e “irrituale” traduttore non ha compiuto, come taluni suoi predecessori, una traduzione letterale, né ha provato a rendere in poesia il testo dantesco (come hanno fatto altri, scegliendo l’esametro latino per l’endecasillabo della versione originale in italiano), ma ha preferito aderire al testo medievale con qualche licenza e utilizzando la prosa, senza voller tentare improbabili riscritture in rima e non temendo di utilizzare perifrasi per districarsi dai neologismi danteschi. Nell’opera inoltre, lo spirito di ricerca viene spinto all’estremo dal traduttore, che si china su ogni dettaglio, sviscerandolo. Il fascino del suono di una lingua mai morta (e lo scrivevamo qualche settimana fa parlando del volume di Nicola Gardini sul valore del latino) non fa perdere la bellezza di un capolavoro etereo e abissale, anche se vien meno il plurilinguismo fatto di neologismi ed espressioni oscure di cui è impastato il capolavoro dell’Alighieri. Al lettore non rimane che farsi trascinare dall’imponderabile mistero e dalla concinnitas del verso latino fino ai più reconditi luoghi dove cielo e terra si incontrano.(in collaborazione con Antonino Sidoti)
Antonio Bonelli (a cura di)Dantis Alagherii Comoedia –Latina TranslatioTraduzione della “Divina Commedia”,,Ed. CTL Livorno 2016, pp. 460, 20 euro
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