Certi eventi del tempo che abitiamo segnano indelebilmente un’epoca, contribuendo a creare un immaginario collettivo, un sentire condiviso, capaci di incidere sulla percezione della realtà negli anni a venire. In Italia, ciò è vero in particolare per gli ultimi trenta anni, ovvero lungo un periodo segnato dalla crescente e inarrestabile diffusione dei mass media, innanzitutto della televisione. La realtà e la rappresentazione della stessa si sono così intrecciate, approfondendo paure e destando attese, anche confuse, che il mero dato di cronaca, inerte e privo di narrazione, non avrebbe probabilmente innescato. I cinque drammatici episodi rievocati da Marco Mancassola, i cui protagonisti in carne e ossa tutti ricordiamo – la giovane vittima di un colpo di fucile all’Isola di Cavallo, secondo una dinamica che vide coinvolto Vittorio Emanuele di Savoia; il piccolo Alfredo precipitato in un pozzo artesiano a Vermicino; Emanuela Englaro e il padre Peppino; l’adolescente siciliano giustiziato per vendetta e sciolto nell’acido dalla mafia; il diciottenne ferrarese pestato e ucciso dalla polizia - si prolungano in altrettanti racconti di fantasia in cui la coscienza del Paese elabora il proprio smarrimento. La reinterpretazione letteraria, pare suggerire Mancassola, è infatti lo strumento che ci consente di dare un diverso destino a vicende note anche nel dettaglio, provando a reperirne un senso che a ridosso dell’accadimento – di per sé sordo e violento – ci viene negato. Solo la delicatezza della fiaba e il potere trasfigurante dell’arte riescono a porsi al di là del nudo fatto, interrogandone ed esplicitandone il portato simbolico.
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MARCO MANCASSOLA, Non saremo confusi per sempre, Einaudi, Torino 2011, pp. 143, 16 euro
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