Il desiderio di uccidere e sostituirsi al padre nella relazione con la madre è il tratto principale del complesso di Edipo, uno dei concetti cardine della teoria psicanalitica formulata da Sigmund Freud a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Questo concetto è ripreso metaforicamente da Amélie Nothomb nel suo ventesimo romanzo Uccidere il padre come simbolo della liberazione dalle aspettative che ogni genitore ripone nei figli determinandone le scelte, un’emancipazione indispensabile per la formazione dell’identità di ognuno. Attorno al complesso edipico si sviluppa l’esistenza del protagonista del romanzo, Joe Whip, quattordicenne senza padre e cacciato di casa dalla madre, che trova nella magia e nei giochi di prestigio una via per fare fruttare la sua solitudine. Abbandonato a se stesso, mentre si guadagna da vivere eseguendo giochi di carte nei bar di Reno, un uomo misterioso gli indica il nome del più grande tra i maghi viventi: si tratta di Norman Terence, mago straordinario e moralmente incorruttibile, che accoglierà Joe come suo allievo, prendendolo in casa con lui e con la sua compagna Christina, che Joe proverà a conquistare con ogni mezzo. Il caso sembra da manuale, Joe ha finalmente una famiglia, una madre da desiderare e un padre a cui volersi sostituire; ma la penna tagliente di Amélie Nothomb nel finale dà origine a un incantesimo: la prospettiva è ribaltata, il punto di vista si capovolge, la trama si rivela un’illusione. Così sarà il padre, infine, a bramare una legittimazione da parte del figlio.
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