Un peso per misurare il dolore più atroce, quello per la perdita di un figlio; quello che svuota dentro e che nulla potrà mai lenire: 623 grammi. Tanto segna alla bilancia l’urna che contiene le ceneri della piccola Jana, morta nell’incendio del suo appartamento, che il padre tiene fra le mani. Attonito e annichilito. Pochi etti che segnano tutta la drammatica distanza da quei floridi e pulsanti 3 kg e mezzo che pesava la bimba alla nascita, solo pochi anni prima, e a cui si aggrappa ora - quasi a ponderare fisicamente il proprio strazio - l’anonimo protagonista del nuovo romanzo del catalano Eduard Márquez, L’ultimo giorno prima di domani. Un libro (molto ben tradotto da Beatrice Parisi) che è un’immersione senza bombole nel mare della sofferenza più acuta attraverso la memoria di un padre separato cui la vita ha regalato più croci che gioie fino alla morte assurda e inaccettabile dell’unica figlia. L’incipit del romanzo - che attacca proprio da quel numero (623) - è folgorante e catapulta immediatamente il lettore nell’apnea di un dolore alienante, con l’immagine del protagonista (e voce narrante) che soppesa l’urna cineraria della bambina e mentre attende l’ex moglie riannoda i fili contorti della propria esistenza. Una vita come tante nella Barcellona dell’ultimo mezzo secolo: dagli anni della scuola (in un istituto religioso non alieno da sopraffazioni e perversioni) fino alla tragica notte dell’incendio che si è portato via Jana, passando per le ribellioni degli anni Settanta, le droghe e l’alcol, i primi confusi amori, le amicizie, i sogni e le ambizioni di un aspirante scrittore divenuto tipografo per portare avanti l’attività del padre, morto ancora giovane di cancro. Márquez, di cui Keller ha già stampato i precedenti, bellissimi romanzi (La decisione di Brandes e Il silenzio degli alberi), ha portato all’apice con questa terza prova la sua potenza di narratore e le sue qualità di acuto indagatore dell’animo umano, scandagliato nelle sue fragilità ma anche nelle sue grandi e insondabili risorse. Sono 155 pagine di ricordi, alternati a brevi parentesi sul presente (l’attesa notturna dell’ex moglie per compiere assieme a lei il rito del congedo definitivo dal frutto caduto troppo presto del loro antico amore), con continui balzi di tempo e spazio sapientemente intrecciati e che mai mandano in confusione il lettore. Complice lo stile asciutto e diretto, rapido quanto essenziale, del cinquantenne scrittore catalano, si resta invischiati in ogni pagina. Catturati e al contempo oppressi dal senso di soffocamento che il dolore sembra disseminare attraverso la carrellata di flashback affastellati dalla memoria sanguinante del protagonista (senza nome e dunque adattabile a tutti i nomi, a ciascuno di noi) nel tentativo, vano, di dare un senso a quanto capitatogli. «Certo è strano - dice citando Rilke Francesca, vecchia fiamma del primattore, - non abitare più la terra, smettere gli usi appena imparati, non dare più alle rose, e ad altre cose piene di promesse, il significato di un futuro umano; non essere più quello che si era in mani infinitamente ansiose e abbandonare il proprio nome come un giocattolo rotto». Strano, a meno di non trovare Qualcuno, di là, disposto ad aggiustarlo quel giocattolo.
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Eduard Márquez, L’ultimo giorno prima di domani, Keller, Rovereto (Trento) 2014, pp. 155, 14 euro
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