L’antidoto dell’idiota contro la superficialità

Paolo Febbraro (Roma, 1965) è uno dei migliori poeti della sua generazione e come sempre più spesso capita, anche uno dei critici più preparati. Come dice il sottotitolo, L’idiota è una “storia letteraria”. Oltre a ciò è un’investigazione a tutto campo dal mondo antico al Novecento di questa figura “laterale” in diverse accezioni: dall’idiozia sapiente, dalla sapienza antica, all’eccentricità, alla buffoneria, alla purezza di cuore, all’idiozia come segno di alterità assoluta, al Principe Myškin di Dostevskij, a Don Chisciotte, al “viandante” walseriano. Il volume è un grande affresco sul tema. Nessuno dei grandi classici manca, accanto a quelli accennati: Aristofane, Lucrezio, Dante, Shakespeare, Leopardi, Pirandello, Kafka, Hašek, Gombrowicz e così via. A Febbraro interessano più che le identità, le metamorfosi, le transmorfosi, in una dimensione fluida e dinamica del sapere e delle tradizioni. Nel suo inseguimento “genealogico” egli ci avverte: «Ogni idiota ha una storia diversa, e persino lui, così intensamente tradizionale, sbugiarda l’unicità del Tempo». Questa consapevolezza della molteplicità dei tempi e delle tradizioni in relazione dialogica fra saperi, fa ben sperare, perché è un ulteriore contributo al coro di chi mira allo svecchiamento degli studi, allo svecchiamento delle linee interpretative, contro il pressappochismo e la mancanza di rigore che caratterizza gran parte dei centri di ricerca nostrani, dove lo studio e la ricerca innovativa sono quasi del tutto spariti, ammantati da una chiacchiera di maniera che si vuole decostruttiva e “cognitiva”, di un cognitivismo però d’accatto, che trascura del tutto il pensiero.

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