Una poesia memoriale di un mondo estinto, è questa di Luigi Manzi. In un’epoca di realismo terminale, forse, su questa poesia aveva ragione il notevole poeta e critico Remo Pagnanelli, quando quasi un trentennio fa scrisse: «[In Manzi] la natura non è più il paradigma e il teatro dell’invenzione, ma la sua memoria, un repertorio sorpassato e quindi ancora più attuale». Il tempo è trascorso e la situazione si è sempre più incrudelita, tanto da far riflettere quanto ne resti della parte attiva di questa poetica e, di là degli aspetti di disumanizzazione e di mutazione antropologica, non bisogni mutare paradigma e linguaggio. Per tutte le poesie “La cava”: «L’unghia polverosa degli zoccoli /risuona nella cava. / Il colpo sbianca l’anfiteatro. La lepre /scompare nel cespuglio. // L’eco riverbera. Grida il figlio /insanguinato. // Oggi è un anno. Su quel masso / cresce vermiglio il ciliegio. Il tordo squilla sul ramo. Il resto è memoria – puntolineapunto – del telegrafo».
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Luigi Manzi, Fuoirivia, Edizioni Ensemble, Roma 2013, pp. 112, 15 euro
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