Luciano Bianciardi (1922-1971), narratore, giornalista, organizzatore culturale, fra i pochi intellettuali non asserviti per la maggiore a qualche mutevole carro, dei diversi del Nostro Novecento, e dalla sentita tensione etica, analista della società italiana in delirio di massificazione. Alla sua figura Giuseppe Muraca dedica uno dei quaderni del CDP (il Centro di Documentazione di Pistoia) ripercorrendo, in breve, la vicenda umana e le singole attività di Bianciardi, in particolare quella narrativa e giornalistica. Molte sue pagine fanno a tutt’oggi riflettere e non si può tentare di ripercorrere la storia, per tanti versi travagliata e sciagurata, dell’intellettualità italiana novecentesca, senza affrontare questo autore, assieme a pochi altri in campo letterario, quali Giacomo Noventa, Rodolfo Quadrelli, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Carlo Cassola e via così, di diverse tradizioni. Basterebbe un’attenta lettura de La vita agra, il suo romanzo sperimentale più popolare, per trovare frasi come questa (messa in esergo a un capitolo dal Muraca) su cui riflettere: «La politica, come tutti sanno ha cessato da molto tempo di essere scienza del buongoverno, ed è divenuta invece arte della conquista e della conservazione del potere. Così la bontà di un uomo politico non si misura sul bene che egli riesce a fare agli altri, ma sulla rapidità con cui arriva al vertice e sul tempo che vi si mantiene».
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