Ligabue, una penna intinta in provincia

Trent’anni dopo le impressioni di Angelo Guglielmi, oggi si ha la certezza che «la scrittura oltre che nei luoghi deputati (romanzi, poesie, saggi) si trovi anche in altri ambiti e contesti». Lo stesso critico, movimentista del Gruppo 63 ed ex-dirigente televisivo, forse allora non avvertiva se non superficialmente come il principale ambito di trasformazione si ricostruisse per strati - come una sempre più spessa epidermide e di decennio in decennio, da quei lontani anni Ottanta - nell’esclusiva industria culturale e editoriale: il cui rincorrere il mercato produceva fenomeni in parte analoghi a quelli che avevano dato avvio, all’inizio degli anni Sessanta, alla falsa ma, grazie all’immissione in prima persona di poeti e scrittori, altrettanto autoriale nouvelle vague cinematografica italiana. Lo stesso è valso, vent’anni più tardi, per l’editoria che con tutt’altre immissioni diede la stura a tutta una serie di libri la cui onda lunga giunge e si rifrange fino alle attuali classifiche di vendita, scalate da co

mici, attori, calciatori e cantanti. Allora però filavano dritti nella “varia” ora terreno occupato dai best-seller cucina&tv delle Parodi, Gelasio, Clerici. Si sta girando intorno e non a vuoto, tanto per scoprire nella coda del viaggio il protagonista di una delle sorprese letterarie di questi primi mesi del 2012. Non per chi scrive, che già nel 2004 in alcuni sondaggi sulla sua opera, in particolare nei due film di regia, tentava di ricostruire la geografia letteraria che permeava l’intero e poliedrico lavoro: dalla musica, ai primi racconti passando per l’anomalo romanzo e non ultimo il già citato cinema. Tale sintesi era più tardi con la pubblicazione delle poesie calcata anche da Nico Orengo. Nelle “lavagne” del tempo che passa, la raccolta di racconti “Il rumore dei baci a vuoto” ha aggiunto un nuovo tassello nella produzione di Luciano Ligabue, rockstar amatissima e raffinato cesellatore di canzoni e versi (la versione acustica dell’album Arrivederci Mostro è un trattato musicale a beneficio delle nuove generazioni di cantanti e compositori), e a essere decisiva oltre la provenienza qui s’affaccia la possibilità che la scrittura diventi terapia esistenziale, quindi narrativa. L’allaccio arriva, al di là dei piani editoriali (il racconto di nuovo come veicolo di facilitazione e rapidità di lettura praticato dall’Einaudi), nella mistura allo stesso tempo verosimile (il realismo dei personaggi in Ligabue è dato quasi imprescindibile biografico) e assurdo nel dipanarsi degli eventi narrati nella quotidianità. La via europea filtra attraverso la lente d’ingrandimento delle Novelle sulle apparenze di Gianni Celati, mentre l’ancoraggio allo star-system può tenersi nelle “storie naturali” (Different Seasons) di Stephen King. Mentre le forzature sentite arrivano mal assortite nel tentativo di cucire un abito minimalista, pur avanti alle “mille luci” delle metropoli americane. Non è la provincia lo sfondo, ma il territorio è l’humus e la tradizione da cui nascono i racconti di Il rumore dei baci a vuoto. Il “bciu bciu” al micio, ecco cos’è il titolo, è piuttosto, evocando ancora Angelo Guglielmi, nella sua felice prefazione all’antologia Il piacere della lettura, il gesto che precede il fluire di «parole miserabili» che hanno il pregio e in Ligabue, non esente dalla tentazione del catalogo (in alcuni momenti esplicito e da bussola nel capire cosa ha letto e visto), una certa raffinatezza di svolgimento al pari di scrittori che «fanno cadere il loro interesse sui linguaggi bassi, sull’espressione come gesto, sulla parola risparmiata, povera, collegata con codici essenziali, organica al linguaggio fisiologico».

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LUCIANO LIGABUE, Il rumore dei baci a vuoto

Einaudi, Torino 2012, pp. 168, 15 euro

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