La trama di questo romanzo psicologico e di sentimenti e memorie è presto detta: «Roberto, che da poco ha perso la moglie Miriam, è indotto dalla tragedia a ripercorrere la storia della propria vita, con particolare attenzione ai trent’anni di matrimonio con la donna. Egli, gradualmente, si isola dal mondo e affronta un tormentato viaggio al centro di se stesso, fra momenti analitici di bilancio esistenziale e lampi intermittenti della memoria: le figure dell’infanzia, della famiglia, dell’amicizia si rappresentano così una dopo l’altra alla sua mente. Il tuffo nel passato porterà Roberto ad abbandonarsi ossessivamente ad un sogno impossibile, quello cioè di rivivere in prima persona quei momenti ormai trascorsi riavvolgendo il nastro del passato». Il romanzo è solidamente costruito con gli episodi che si infilano naturalmente uno nell’altro in “fugato” e nelle misure dei capitoli permettendo la giusta tensione narrativa che tiene il lettore avvinto alla pagina. La lingua è chiara e ricca di “coloriture”, pur trattando di argomento contemporaneo ha la misura della classicità, lontana da quella “mimesi” naturalistica di molto pseudo-minimalismo di stampo anglosassone che vuole essere la pura e slegata imitazione del parlato con frasi sbocconcellate ridotte a un grado zero della scrittura. In questo senso Menga sa ricostruire un impasto linguistico che tiene conto della dimensione del parlato, ma che non abdica ad una composizione architettonica. Nato a Monopoli nel 1953 fra le sue precedenti prove narrative ricordiamo: La cinquecento blu (2007) e Sotto un cielo di pietra (2009).
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