«Dire una cosa è dire a cosa somiglia». La critica d’arte, se è davvero tale, incarna alla perfezione questo pensiero formulato da Marcel Proust. E quando l’inchiostro in cui è intinta è quello – per restare soltanto al caso dell’Italia - di interpreti d’eccezione come Roberto Longhi, Emilio Cecchi, Giovanni Testori e finanche il meno noto ma non meno bravo Alberto Veca (ai cui scritti è dedicata una mostra allestita al castello di Melegnano), tale forma di critica non ha nulla da invidiare ai testi di narratori e poeti “laureati”. Lo dimostra Pier Vincenzo Mengaldo in questo agile libretto, nel quale prova – con successo - a ridare ai critici che hanno scritto di pittura, scultura e architettura il posto che loro spetta nelle storie della letteratura italiana, dove oggi sono colpevolmente ignorati.
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Pier Vincenzo Mengaldo, Due ricognizioni in zona d’autore, Mup, Parma 2015, pp. 70, 10 euro
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