Tiziano Rossi, nato a Milano nel 1935, è uno dei “decani” della poesia italiana. Ricordo fra gli editi, del 1976, da Guanda Dallo sdrucciolare al rialzarsi, in cui la sua immagine di poeta si impone e stabilizza e, del 2003, da Garzanti, Tutte le poesie 1963 -2000, in cui sono confluite le raccolte del secondo Novecento. Spigoli del sonno, ora da Mursia, sono cinquantacinque racconti brevi e fulminanti che costituiscono una serie “di radiografie” della situazione materiale e morale del vivere che ci attornia. Per quanto bizzarri, straniati, bislacchi, ironici ed assurdi, questi racconti di un realismo visionario, bene rappresentano l’alienazione, la solitudine esistenziale nell’alveare umano, il vuoto di valori, in un mondo che si vuole ovattato e performativo, ma anche, la ferinità, la cieca violenza e la presenza allucinata e tutte le distopie che selvaggiamente, nella sua destrutturazione della percezione valoriale, il nostro vivere ha accumulato. Rossi con esuberanza affabulatoria ed ironia sventaglia una ricca fenomenica di casi esemplari e varianti di casi esemplari, in cui è costante la tensione osservativa ed uno svagato distacco, così come una stimmung poetica che “alona” questa prosa breve. Per tutte l’incipit di Pecore: «Siccome sono diventato una pecora, ecco che mi immetto nel grande gregge delle mie consorelle. Tutte insieme leviamo un flebile belato che genera degli accordi non interpretabili da altre specie e che molti equiparano a un mero piagnisteo. Tale esegesi è meschinamente parziale, perché noi riusciamo ad esprimere, con il nostro verso, una verità forse contraddittoria, ma che rispecchia bene la complessità del reale […]».
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