Lino Angiuli è noto soprattutto come poeta e come co-direttore della rivista «Incroci» fra le prime per valore nel mare magnum italiano. E incrociando incrociando, lemme lemme, eccolo approdare alla sua prima raccolta di spumeggianti racconti, nell’edizione del Gelsorosso come sempre graficamente bella e con i disegni in sincrono di Vito Matera. A dire il vero Angiuli non rinuncia a intercalare fra un racconto e l’altro un testo poetico in terzine dante-angiullesche e il libro diviene un libro di racconti con figure: Rocchino del solitario, Minguccino la stampella, Memena l’ammollata, Seppina viabbella... Ma figure sono anche quelle dei racconti in cui Angiuli incrocia più registri: l’alto, il basso, l’ancestrale, in una lingua ricca di esuberanza e virtuosismo, ma soprattutto di vitalità. Così, fra cronaca e memoria fra registrazione antropologica e figuralità il panteon di Angiuli si ampia a raccogliere un fitto tessuto di voci: Tonio sciagàll, Tella bruttebbona, Ualicchio il paccio... a narrazione è «scattosa» e affabile come la poesia di Angiuli. Chiudiamo con le terzine di Linuccio il poeta: «In testa spuntano accordi marzaioli / grazie a ’sto sole ch’è boss del pomeriggio / e porta il cuore a risorgere al sicuro // dentro una macchia di mirti e di quercioli / lì fa la parte dell’odore selvaggio / cresciuto in terra alla ripa di un tratturo // o in corpo ad uno dei cento muriccioli / che zitti seguono il gran pellegrinaggio / mentre un bel fiore cosparge un riso puro // sa lui quante ore ci vogliono al destino / prima di acquiescere e di resuscitare / nei pannicelli del boccio nascituro // quindi ritorna chi stava già al mattino / ma chi non c’era non potrà mai tornare / come mi spiega ’sto sole a muso duro».
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LINO ANGIULI, La panchina dei soprannomi, Gelsorosso Editore, Bari 2011, pp. 112, 12 euro
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