Trentuno giorni con gli “idioti” di Cavazzoni

Non c’è nulla che giustifica le mille stranezze dei personaggi di Ermanno Cavazzoni; e in questo nulla si muove la sua scrittura, con un’ispirazione che parte come da un grado zero del senso per liberare la fantasia in un profluvio di casi eccentrici e straordinari. Gli idioti delle sue brevi vite fanno cose che non hanno il minimo fondamento pratico e si scontrano con la coriacea assennatezza di un’Italia provinciale o paesana intenta a studiarli o dileggiarli quali paradigmi di un universo remoto e incomprensibile, umano e inumano, squisitamente idiota appunto. In ciò, ovvero in questo essere fuori da ogni tempo e ogni logica, è pure il loro potere sovversivo, il loro fascino inutile, la loro poesia di gesti e comportamenti dipinti nella vacuità di una perfetta innocenza. Pigozzi Ettore trasforma la sua Fiat d’epoca in un improbabile aereo e si schianta nel tentativo di prendere il volo e scomparire in un fumoso avvenire (Il perito aeronautico). Il contadino Gallinari si improvvisa medico per folle diletto e nel corso di una visita finisce per strozzare la madre avvolgendole lo sfigmomanometro al collo (Il misuratore di pressione). Primo Apparuti racconta dal manicomio la sua storia di meccanico timoroso di far male al ferro e ai bulloni delle sue biciclette e finisce per incapricciarsi dei pali del telegrafo che adora e abbraccia con incredibile affetto (Primo Apparuti). Un bislacco pittore apprezzato dal critico Guastalupi tira infinite linee colorate che condensano, ne è convinto, l’intera sua vita (Il pittore Cimetta). Ai tempi di un memorabile carnevale le autorità comunali hanno la brillante idea di distribuire nasi finti ai cittadini: generosità di cui approfitta il Cortellini Amadio, che però non vuole più toglierselo, quel naso di cartone, inducendo il presidio sanitario territoriale a denunciare il sindaco per la grave imprudenza commessa (Il carnevale del cinquantasei). C’è poi Renato Scalabrini, che butta sassi e altre cose per aria e le guarda cadere, specie in testa, e che già appartiene a una famiglia di matti o di scemi (La famiglia Scalabrini), e il piromaniaco Bruno Primavera che letteralmente s’incanta a veder bruciare i fiammiferi (I piromaniaci), e quel tale facente parte della famiglia Vacondio domiciliata in via Po a Torino, che non riesce a stare tranquillo perché teme l’impressionante velocità della Terra nello spazio e i tanti possibili incidenti cosmici dalle conseguenze fatali per il genere umano. Tristissimo è invece il caso del nobiluomo Pezzenti che cosparge il volto di lacca per ringiovanire e fare la sua passeggiata quotidiana: quel malinconico vecchio che vive in uno stanzino ipogeo freddo e miserabile, indossa stracci legati da elastici, possiede un’antica tessera falsa di nobiluomo e un giorno muore stramazzando sul marciapiede. La teoria degli idioti inventariati in questa raccolta riproposta da Guanda dopo la prima edizione feltrinelliana del 1994 continua segnando le tappe del calendario di un mese - 31 sono le storie -, e ogni giorno, come spiega lo stesso Cavazzoni in un asciutto preambolo indirizzato al lettore, «porta la vita di una specie di santo, che patisce e gode come i santi tradizionali». È un mese di cui nessuno conosce il seguito, anche se c’è qualcuno che dice che «ricomincia sempre da capo, forse su un altro pianeta» dove «ogni volta l’umanità è di un gradino più idiota» fino a raggiungere uno stato di «assoluta e totale idiozia, in cui nessuno ricorda più niente, neanche le cose più elementari, come ad esempio sentirsi qualcuno diverso da un sasso o da un meteorite. Questo sarebbe lo stato beato».

Ermanno CavazzoniVite brevi di uomini idiotiGuanda, Parma 2017, pp 167, 15 euro

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