I tratti di melodramma di Douglas Sirk, le frasi saettanti come un risciò di Satyajiit Ray, i colori di Gauguin e la cruda perfezione di Manet: sono questi gli ingredienti dell’ultimo libro di Anjali Joseph, ambientato in India, a Bombay, attuale Mumbay, nel tranquillo quartiere di Saraswati park. Saraswati è la dea della musica, dell’arte e della conoscenza, e il racconto parla di questo: i coniugi Lakshmi e Mohan ospitano per l’anno che deve ripetere al college il nipote Ashish, irrequieto studente di letteratura. Mohan, che fa l’antico lavoro dello scrivano, coltiva la passione per il collezionismo di libri; ma la sua vera aspirazione è la scrittura, che gli impedisce di capire quel che la moglie tiene segreto... Le vicende di Ashish, alla ricerca di una identità e coinvolto in una difficile storia omosessuale, li aiuteranno a ritrovare quelle sicurezze ormai alla deriva. I veri protagonisti del romanzo sono le strida degli uccelli, le urla dei venditori ambulanti, le risate dei bambini, il profumo delle spezie, il sapore del the e della Roohafza, l’olezzo delle strade allagate dagli scolatoi traboccanti, i colori sgargianti dei sari: in un mondo che continua a crescere anche nelle sue contraddizioni. Il linguaggio denuda parole e sentimenti dei personaggi, con delicatezza e tocco ammaliante. La scrittura si dissolve mentre la vita scorre, il tempo procede inesorabile e l’autrice ci accompagna in un viaggio in punta di piedi. Uno degli esempi più belli di letteratura indiana di lingua inglese, dove Shakespeare e Truffaut prendono voce mentre le luci al neon dei lampioni continuano a spargere la loro luce senza mai spegnersi...
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ANJALI JOSEPH, Lo scrivano di Bombay, Bollati Boringhieri editore, Torino 2012, pp. 226, 17 euro
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