L’inizio dell’ultima opera di Edith Bruck, ebrea di origine ungherese trapiantata a Roma, sembra prendere spunto dal giallo per inchiodare il lettore su una pagina che in realtà si rivelerà una riflessione sulla vecchiaia e sulla pietà. Lea, la protagonista, un giorno, mentre va al supermercato, sente la voce di una donna dal cappotto verde che gli ripete con voce dimessa “Sei Lea, la piccola Lea di Auschwitz! Sì sì...”; così con l’aiuto di familiari e amici cercherà di incontrare la donna per chiarire chi è e per scavare nella sua memoria. La vecchia misteriosa la inviterà a casa per offrirle la sua abitazione ma si rifiuterà di rispondere alle sue insistenti domande portando Lea a una crisi che si paleserà in un progressivo svuotamento dei ricordi, e a un ritorno a uno stato infantile che prima di allora stava sopito in fondo all’animo. Sullo sfondo di una Roma appena accennata si delinea uno spaccato di vita quotidiana di una coppia di anziani coi problemi di ogni giorno, la salute fra tutti, e personaggi usuali come l’amico cardiologo, che ama prendere in giro Lea per la politica di Israele, o la giovane Elisa, piena di rabbia adolescenziale, o ancora la portinaia part-time Letizia. La scrittrice in questo tentativo (abortito) riesce a tratti ad appassionare il lettore con uno stile vibrante, ma il lungo periodare e alcune digressioni troppo lunghe distolgono dall’intento di coinvolgere su un tema così complesso come la pietà. Un occasione perduta in un’opera scritta bene ma che sembra incompiuta da un’autrice che ha saputo risvegliare violente emozioni in “Quanta stella c’è nel cielo” toccando con delicatezza poetica il tema della Shoà.
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EDITH BRUCK, La donna dal cappotto verde, Garzanti, Milano 2012, pp. 119, 15,60 euro
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