A Lodi e Vizzolo pazienti in terapia intensiva rifiutano sempre più spesso le cure

Il presidente della Siiarti Giarratano scrive ai colleghi: «Il paziente non va mai abbandonato, bisogna garantirgli sempre un livello adeguato di cure»

Finiscono in terapia intensiva, ma rifiutano le cure. A lanciare l’appello il presidente della Siaarti, la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione, terapia intensiva Antonino Giarratano.

«Rispetto a un anno fa - ha detto il dottor Giarratano esortando i colleghi a non abbandonare mai il paziente, ma a garantirgli sempre un adeguato livello di cure e, qualora necessario, la loro rimodulazione in chiave palliativa - è cambiato il tipo di paziente ricoverato nelle terapie intensive: 7 su 10 sono no vax, di questi la metà è anche negazionista, quindi non nega solo il vaccino, ma l’esistenza stessa del Covid e l’utilità delle cure salvavita».

Nei nostri territori la situazione è analoga. Dal 29 dicembre ad oggi i pazienti Covid in terapia intensiva, a Vizzolo, sono passati da 1 a 5. A Lodi sono 6, 2 a Codogno (il 12,5 per cento vaccinato 6 mesi fa) e 5 al policlinico San Donato.

L’80 per cento dei pazienti passato dalla terapia intensiva di Vizzolo non era vaccinato, il restante aveva fatto 2 dosi oltre 150 giorni prima o aveva patologie del sistema immunitario.

«Anche noi, soprattutto ultimamente, ci troviamo di fronte a malati che rifiutano le cure - spiega il primario di anestesia e rianimazione di Vizzolo Giovanni Marino -. Ricordo due casi in modo particolare. Alla fine siamo riusciti a convincerli che per la loro vita avrebbero dovuto accettare di essere intubati e, anche se con fatica, l’abbiamo fatto. Quando i malati vengono estubati e stanno bene, poi, tornano a essere ostili, senza ravvedersi: ripartono da dove si erano interrotti. Il grazie è sparito dal vocabolario».

Si tratta di un fenomeno, commenta il primario, «mai riscontrato prima. Una persona continuava a insistere, dicendo che lui non aveva il Covid, ma un’altra malattia - ricorda -. Per noi medici è devastante perché non possiamo fare nulla senza il consenso del malato. Se la diagnosi fosse di tumore capisco che uno rifiuti le cure, ma in questi casi i pazienti ripetono le frasi che sentono ripetere da altri: non vogliono “farsi iniettare il 5 G e i metalli”, dicono, “è tutto un complotto della dittatura sanitaria, una lobby che li blocca per controllare le loro vite”, che non li dobbiamo intubare perché “ci sono altre cure diverse, a domicilio”. Il problema è che dobbiamo convincere tutto il nucleo famigliare, non solo il malato».

«Il paziente Covid che necessita di terapia intensiva è cambiato rispetto allo scorso anno quando le possibilità di cura e prevenzione erano pressoché nulle - ha fatto sapere il primario di anestesia e rianimazione di Lodi dottor Gianluca Russo -. Attualmente, sebbene sia possibile il contagio anche nei pazienti vaccinati, raramente in questi casi si sviluppano quadri di malattia che richiedono cure intensive. il vaccino protegge da malattia grave».

«Anche le nostre terapie intensive - aggiunge il direttore sanitario dell’Asst Paolo Bernocchi - stanno accogliendo questa settimana, per la maggior parte, pazienti che hanno deciso di non vaccinarsi per vari motivi (dalla banale paura al negazionismo). Fortunatamente noi non abbiamo avuto casi particolarmente delicati come quelli giunti alle cronache in questi giorni (rifiuto alle cure), ma anche da noi ci sono stati pazienti che non credevano all’esistenza del Coronavirus e c’è anche chi continua a non crederci nonostante sia guarito dalla forma più grave della malattia con una degenza superiore alle due settimane in rianimazione».

«Purtroppo - aggiunge il dottor Bernocchi - abbiamo visto spegnersi tante vite a causa del Covid, da febbraio 2020, ma se inizialmente prevaleva un sentimento di impotenza verso la forma più grave di una nuova malattia, ora ci assilla il dispiacere di una morte potenzialmente evitabile se solo si fossero fatti curare prima o se avessero scelto la prevenzione con il vaccino».

«Riteniamo opportuno mantenere un atteggiamento professionale informando i pazienti e non giudicando le loro scelte - annota il dottor Russo -. Rimane la speranza che siano sempre di meno coloro che mettono in dubbio l’importanza del vaccino».

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