Affitti da “capogiro” anche negli iper
Chiesti 32mila euro al mese all’Unieuro
Strangolati da affitti che diventano sempre più esorbitanti. I negozianti che lavorano nelle gallerie dei centri commerciali spesso si ritrovano ad abbassare la saracinesca perché l’importo richiesto è troppo elevato, all’assegno mensile dedicato alla locazione, infatti, si aggiungono tutti gli altri costi, dalle bollette ai dipendenti. L’ultimo caso è quello di Unieuro, punto vendita super tecnologico posizionato all’interno di My Lodi, nel quartiere dell’Albarola, che conta circa 16 lavoratori: al momento le trattative sono ancora in corso ma sembra che l’ultima richiesta sia salita a quota 32mila euro al mese. La questione è all’attenzione dei sindacati, Cgil e Cisl hanno chiesto un intervento da parte del Comune e delle associazioni di categoria affinché si trovi una soluzione e, soprattutto, sia salvaguardata l’occupazione.
Sonia Curti, segretario provinciale della Fisascat Cisl, ha affrontato l’argomento anche nel corso del consiglio generale convocato dal sindacato nella giornata di lunedì, a Montanaso. «Quello dell’affitto è un problema comune anche ad altri centri commerciali - afferma -, questo è il motivo per cui i negozi spesso chiudono. Gli esercenti non riescono ad affrontare i costi, anche le nuove aperture diventano improponibili».
Secondo alcune indiscrezioni raccolte dagli operatori del settore, in questi casi i prezzi possono aggirarsi attorno ai 250-300 euro al metro quadrato.
Bruno Milani, segretario dell’Unione del commercio, sottolinea che già da diversi anni l’associazione sta monitorando il “caro affitti”, al punto che a Milano gli imprenditori in servizio nelle gallerie degli iper hanno creato una propria squadra per difendere gli interessi della categoria.
«Il tema è delicato ma importante - dice Milani -, è chiaro che gli esercenti sono soggetti deboli rispetto al titolare della grande struttura, perché hanno una minore forza contrattuale. L’obiettivo è quello di supportarli, in base allo statuto che regola il centro commerciale. Gli obblighi spesso previsti dai grossi centri sono di difficile sostenibilità per gli imprenditori, basta pensare agli orari e alle aperture appena liberalizzate e ai contratti». Capita così che per riempire il vuoto lasciato da chi non ce la fa più a reggere le spese arrivino i “temporary shop”, i negozi temporanei.
«Non si tratta di demonizzare la grande distribuzione - aggiunge Milani -, se c’è la disponibilità della controparte è possibile costruire un sistema capace di tenere in considerazione le esigenze di tutti».
Gli affitti esorbitanti rendono la vita difficile non solo agli esercenti che lavorano nelle gallerie dei centri commerciali, lo sanno bene i negozianti del centro storico di Lodi. È questo uno dei motivi che spinge i titolari ad abbassare per sempre la serranda, come è accaduto nella seconda metà di corso Roma, oppure a cercare una sistemazione diversa, in un angolo della città del Barbarossa considerato più economico.
In questi giorni l’intero settore è in subbuglio, a causa della liberalizzazione degli orari e delle aperture previsto dal governo Monti. Un provvedimento contro il quale hanno preso posizione associazioni, istituzioni e sindacati.
Sonia Curti sottolinea che il problema del cambio degli appalti non è da sottovalutare: «C’è una pluralità di contratti in cui pescare, alcuni però sono “farlocchi” e vengono applicati da molte cooperative - commenta -. I committenti ormai vanno al risparmio, prima di andare al ribasso, però, dovrebbero verificare la serietà di chi si portano in casa, è una cosa che possono fare. A volte si ritrovano appalti al ribasso anche da parte delle pubbliche amministrazioni, poi chi ci rimette sono solo i lavoratori».
Greta Boni
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