«Ale Soresini era il Maradona del reggae»

Bravo? Eccome, anzi: “Il problema è che lo era talmente tanto che la band con cui suonava, qualunque essa fosse, passava in secondo piano”, dice Max Carinelli. D’altronde non finisci a suonare con alcuni tra i più grandi artisti italiani, se non hai dentro qualcosa di speciale. E non riempi quel vuoto ferragostano con decine di omaggi, e migliaia di visualizzazioni, se la tua musica non ha dentro qualcosa di speciale. Sì, perché Alessandro Soresini era un musicista speciale. Dietro quelle pelli che batteva come pochi, forse nessuno, almeno nel panorama di quel reggae che gli scorreva nel sangue; e oltre la morte, vigliacca e spietata, che se l’è portato via a soli 44 anni, dopo una lunga e impari battaglia contro un male incurabile. Eppure no, la musica “will never die”, non morirà mai. E allora “Ale” in fondo è ancora vivo, e resterà sempre speciale. Nei suoi dischi, nella sua carriera. E nel ricordo di quegli amici con i quali ha incantato i fan, dalle manciate dei primi concerti tra piazzette e localini, alle migliaia di quel “Concertone” del primo maggio a Roma, con i suoi Smoke. Africa Unite, Reggae National Ticket, Alborosie… e ancora Nina Zilli, Casino Royale, Neffa, Giuliano Palma… Gruppi, artisti e amici di grido, con i quali il batterista-cantante con la Giamaica nel cuore ha suonato lungo quasi 20 anni di vita a tutto ritmo. Ma l’avventura era iniziata prima, a Lodi, con altri gruppi, con altri amici. E la stessa benedetta passione. “Fin dalla prima band reggae, i Lightining Dark, Ale sapeva benissimo quale strumento avrebbe suonato – racconta il cantante Cristian “Cita” Vailati -. Era la fine degli anni Ottanta, e suonavamo nella mansarda di casa sua, adibita a saletta, a San Martino in Strada, dove si era trasferito dopo l’infanzia alle Fanfani. Non avendo soldi, dovevamo arrangiarci: e Alessandro la sua prima batteria se la costruì da solo, con i fustini del Dixan e un piccolo bonghetto. Per lui, suonare era come respirare. Andava sempre in giro con le bacchette, che erano diventate come un’appendice del proprio corpo. Ed era come vedere Maradona quando giocava nel Napoli, e dribblava tutti con naturalezza. È stato un grande, e ci ha insegnato a essere determinati, è un modello per tutti noi. E ci ha aiutato a produrre il cd uscito con i Bujaka, unico featuring dell’Lp”. L’altra band “cult” lodigiana con la quale Soresini suonò furono i Bandaloska, tra il 1994 e il 1997: “Ci conoscevamo già – racconta il chitarrista Cristiano Uggeri -, poi un giorno decidemmo di mettere su questo gruppo: preparammo tre e quattro pezzi in neanche un mese e suonammo subito in piazza Omegna, come New Lighting Dark. Entrammo subito in sintonia: lui alla batteria era già pauroso. Era aperto mentalmente su tutto. E aveva questa energia spaventosa, fuori dal normale: era come un vulcano, e metteva il cuore un tutto”. Max Carinelli, oggi apprezzato chitarrista e cantautore, quando lo vede suonare dal vivo è ancora un adolescente: “lo ricordo come una persona piena di energia, entusiasmo e voglia di vivere. L’ho conosciuto a 16 anni ad un suo concerto: ero andato a fargli i complimenti”. Nel destino di Ale, infatti, c’erano orizzonti più ampi. “Un giorno di disse che il suo obbiettivo era suonare con gli Africa Unite – riprende Uggeri -: ed effettivamente, anni dopo, ci è andato! Prima però entrò nei Reggae National Ticket. Ma è rimasto con noi fino a che non abbiamo trovato un degno sostituto, Andrea Contiero”. A volerlo fortemente nei Reggae National Ticket fu Alberto D’Ascola, oggi Alborosie, con il quale Soresini strinse una forte affinità artistica e umana: “Nel 2006 era in Giamaica a preparare il progetto con il futuro Alborosie – ricorda “Cita”- come unici due occidentali della band giamaicana. Partirono con un grande tour internazionale e la prima data italiana fu Paderno: sfortuna volle che alla fine del concerto si sentì male, e poco dopo gli diagnosticarono il male. Se non gli fosse successo nulla sarebbe stato in giro ancora con lui”. E invece il battito rallenta, si ferma. Ma poi riprende, eco lontana, eppure vicina. Perché Ale non è più qui. Ma è dappertutto.

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