Sarà ancora battaglia di “carte bollate” sul Business park. Sul progetto di un polo industriale a Villa Igea, Legambiente ha annunciato infatti un nuovo ricorso. Dopo la sentenza del Tar Lombardia che ha dato ragione al Broletto, l’associazione è tornata all’attacco. «La sentenza dei giudici milanesi non ci soddisfa e non rende giustizia alla tutela di un bene comune, il suolo, da cui il Lodigiano non può prescindere – spiegano i vertici del gruppo ambientalista -. Per questo la battaglia legale continua, al Consiglio di Stato a cui ci appelleremo e, se sarà necessario, anche alla Corte di giustizia europea».
In particolare nei giorni scorsi i giudici amministrativi avevano considerato corretto il terzo accordo di programma, approvato nel 2009 in Comune a Lodi. Con quel provvedimento un’area di 395mila metri quadrati di proprietà pubblica era stata trasformata da agricola a produttiva. Il tutto per ospitare un parco industriale alle porte di Lodi dedicato alle biotecnologie. Di fronte alla decisione del Tar, ieri è intervenuta Legambiente. «La nostra vittoria è nei fatti e non nel dispositivo della sentenza che ci dà torto – dichiara Damiano Di Simine, presidente del gruppo - abbiamo salvato fino ad oggi 400mila metri quadrati di suolo agricolo da una colata di cemento che si sarebbe trasformata in capannoni vuoti. E per questo ci candidiamo al Fanfullino d’Oro, la benemerenza civica lodigiana: riteniamo di aver svolto un enorme servizio alla città, prima ancora che all’ambiente». Per l’associazione, schierata a difesa della natura e del suolo, grazie al ricorso in questi anni a Lodi non è stato costruito neanche uno dei capannoni che avrebbero dovuto lastricare di cemento la vasta area agricola di proprietà pubblica su cui il Comune puntava per il suo progetto produttivo. «Abbiamo sempre considerato profondamente miope e sbagliata – prosegue Di Simine - la scelta di sprecare 40 ettari di buon suolo agricolo per la costruzione di un fantomatico “incubatore di aziende”, che non ha uguali per dimensioni in tutto il Paese e soprattutto per il quale non ci sono mai state reali e concrete manifestazioni di interesse da parte di imprese di eccellenza della filiera agroalimentare. A maggior ragione oggi, in una congiuntura economica come quella attuale, che già dal 2009 registra la dismissione di tanti capannoni e strutture produttive. Fin dall’inizio di questa vicenda abbiamo avuto la certezza che la variazione di destinazione urbanistica volesse aprire le porte a un’edificazione generalizzata».
Legambiente ha anche citato dei dati: i capannoni, commerciali, industriali e artigianali, in provincia di Lodi occupano duemila ettari di superficie (dati Regione Lombardia), un decimo dei quali sono concentrati nel capoluogo. Preoccupante anche la loro proliferazione: solo tra il 1999 e il 2007 sono cresciuti di oltre 400 ettari, ad un ritmo di più 3,5 per cento all’anno, esattamente il doppio della crescita osservata nel resto della regione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA