E ora che ne sarà del terzo settore?

«Le attenzioni tipiche di una Banca Popolare rimarranno qualora diventasse Spa? E che fine farà la Fondazione?»: continua il dibattito avviato sulle pagine del “Cittadino”

Caro Direttore, le pagine economiche di questi giorni e quelle territoriali del «Cittadino» sono ricche di informazioni sul decreto legge che intende abolire le grandi Banche Popolari per ricondurle a Spa.

Non voglio entrare nel merito strettamente economico/finanziario di questa proposta perché non è mio compito, ma volevo esprimere soltanto alcune considerazioni che, come Lausvol, ho il dovere di porre all’attenzione del Suo giornale.

Cosa ha da dire un’organizzazione che si occupa di no-profit, che coordina un mondo associativo votato al volontariato, in un ambito che appare ai più esclusivamente legato all’economia e alla finanza?

Penso che possiamo invece dire molto, non in assoluto, ma sicuramente relativamente al territorio lodigiano.

Perché qui noi sperimentiamo cosa vuol dire “fare rete” e cosa vuol dire avere una banca locale che, con tutte le sue diramazioni, è attenta alla comunità nei suoi aspetti economici e sociali.

Non è un caso che non più tardi di un anno fa, proprio la Banca Popolare di Lodi ci ha presentato un nuovo ambito dell’organizzazione denominato “Terzo Settore”, con il quale si sta proponendo alle associazioni di volontariato con prodotti bancari fortemente agevolati come espressione di una volontà di “essere vicino” al mondo no-profit coerentemente con le sue regole.

La Banca inoltre, se non ricordo male, un paio di anni fa ha lanciato un’iniziativa interessante attraverso l’emissione dei Certificati di Deposito Solidali, aprendo una via di sostegno tipicamente “popolare”, in cui il contributo finanziario non andava a grandi progetti ma a piccole associazioni locali.

Queste attenzioni tipiche di una Banca Popolare rimarranno qualora diventasse SPA?

E che fine farà la Fondazione?

Negli ultimi anni abbiamo collaborato molto strettamente con la Fondazione Banca Popolare di Lodi, non solo per l’organizzazione dell’ormai tradizionale e bellissima “Giornata del Volontariato”, ma anche per la condivisione di uno studio sul valore economico del volontariato nella nostra Provincia, che ci ha aiutato a dare sostanza anche numerica al valore del volontariato come espressione caratteristica della nostra terra.

Per curiosità sono andata a sfogliare il bilancio sociale dell’anno scorso della Fondazione perché volevo avere contezza precisa di quello che era la mia percezione. Ebbene quanto ho letto è andato oltre quanto era la mia sensazione.

Senza contare il 2014, di cui non ho informazioni dettagliate ma che so essere andato in continuità con il passato, nel quinquennio che va dal 2009 al 2013, la Fondazione ha erogato 12,6 milioni di contributi, di cui ben 4,9 milioni (il 39% del totale) all’assistenza sociale e sanitaria, ambito che risulta essere di gran lunga il più sostenuto con 166 progetti.

Io non so se la trasformazione in SPA produrrà degli effetti anche sulla Fondazione. Ma so per certo che questi contributi sono arrivati e continuano ad arrivare, pur in assenza di utili della Banca, quindi dimostrando una volontà erogativa di tutta l’organizzazione che va oltre il tradizionale rapporto di dipendenza economica che c’è tra la Fondazione e la sua Banca.

Siamo sicuri che ciò potrà accadere anche quando la cosiddetta “governance” non sarà più popolare ma appannaggio di pochi grandi azionisti che guarderanno più al profitto dell’investimento che all’equilibrio solidale della comunità in cui la banca è inserita?

Siamo sicuri che la voce di una piccola associazione di volontariato in un piccolo paese del Lodigiano domani potrà avere un orecchio attento e sensibile che lo ascolti nei locali di Piazza della Vittoria ( ben pensata infatti l’idea di mettere gli uffici della Fondazione nella piazza di Lodi, vero centro simbolico dell’intera comunità), quando il centro decisionale della Banca guarderà a dimensioni e a numeri poco sensibili al contesto di una Provincia?

Non voglio anticipare scenari cupi, ma se volessi portare all’estremo il mio ragionamento, qualora nella nuova governance non ci sia più spazio per la Fondazione, dovremo abituarci a non avere più sul nostro territorio aiuti culturali ed economici per (mediamente) 1 milione all’anno.

Potrebbe voler dire bloccare sul nascere tante belle idee ed iniziative che spesso hanno bisogno di un piccolo avviamento per creare quel valore aggiunto che si riverbera poi su tutto il territorio, senza parlare degli aiuti alle povertà estreme che anche nella nostra terra sempre più si stanno evidenziando.

Con queste poche considerazioni non ho l’ambizione di far cambiare l’opinione dei tecnici e politici che stanno lavorando su questa ipotesi.

Mi sembra però doveroso che ogni persona che abbia potuto sperimentare i vantaggi di un “modo di fare banca del territorio”, con il quale penso si è riusciti a declinare nel piccolo gli intenti e le volontà di una banca comunque grande, alzi un monito, che è il seguente.

Qualsiasi soluzione “tecnico/giuridica” si voglia prendere non deve compromettere quel patrimonio di valori comunitari e di relazioni genuine che una banca popolare sa esprimere e di cui proprio il nome ne è espressione più chiara. La responsabilità di chi prenderà le decisioni dovrà fare i conti anche con questi elementi per evitare di eliminare, con un colpo di spugna giuridico, una ricchezza che non è solo finanziaria ma soprattutto sociale.

Cordiali saluti

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