Tutto come quel giorno terribile. La gente che parla in via Maddalena, il banchetto delle caldarroste, il battito di questa città bassa così popolare e così vera. È passato un anno dalla scomparsa del carabiniere Giovanni Sali, e nel quartiere la ferita è ancora aperta.
Gli inquirenti hanno battuto tutte le piste, ma la sua morte resta senza un perché. Un episodio ancora avvolto nel mistero, dopo quei tre colpi esplosi in via del Tempio il 3 novembre 2012. L’appuntato scelto è stato ferito con una pistola, è rimasto a terra agonizzante e per lui non c’è stata via di scampo. «Era passato di qua, nel pomeriggio. Gli avevamo offerto castagne calde e lui ci aveva risposto che sarebbe passato più tardi – spiegano di fronte al circolo Arci Ghezzi – ma poi non è più tornato».
Momenti che rimangono ancora stampati nella mente di moltissimi abitanti. Il suono delle sirene, il quartiere blindato per settimane e controllato dalle camionette dei militari. E poi la rabbia e il cordoglio, per un agguato che ha sconvolto una città intera.
«Ricordo ancora quel giorno. Era un pomeriggio cupo, pioveva. Ero all’interno del circolo e ho sentito una sirena del “118”. Non avevo proprio idea di quello che fosse successo – riferisce Attilio Caperdoni, consigliere del circolo Arci ed esponente Pd -. Giovanni è sempre stato una persona molto solare, a disposizione della gente, era a tutti gli effetti uno di noi. Io spero che venga fatta chiarezza il prima possibile». Parole sentite da tutto il quartiere, una zona che il carabiniere ucciso aveva sempre frequentato per svolgere il suo servizio di sorveglianza. Nel centro di via Maddalena ieri era ai fornelli anche Bruna Soresina, responsabile dell’Arci Ghezzi Lodi: «Vorremo venga fatta giustizia, dopo quella morte. Conoscevamo il carabiniere Sali».
Giustizia, appunto. È questo che chiedono i lodigiani, conoscere la verità, sapere davvero che cosa è accaduto. «Vorremmo capire - dicono i residenti -, vorremmo avere almeno una spiegazione, perché cose come queste a Lodi non accadono». Ci sono furti, rapine, incidenti, «si rubano le biciclette, ma non si ammazza la gente per strada a colpi di pistola». Intanto in via del Tempio, proprio come un anno fa, sono stati posati dei fiori, un mazzo lasciato nel punto esatto dove giaceva il corpo del “gigante buono”, il 48enne di Cavenago.
Tutto come quel giorno terribile. Persino la stessa via del Tempio, trasandata e sporca. Con un’illuminazione fioca per chi sceglie di avventurarsi la sera. L’unica differenza è la presenza di un’impalcatura a pochi passi dal luogo dell’omicidio, dove era stato posizionato un cassonetto per la raccolta di indumenti usati.
Nel garage di via Indipendenza si nota ancora il foro lasciato dal proiettile, i Ris avevano trascorso diverse ore sul posto nel tentativo di ricostruire la dinamica del delitto. Da queste porte e da queste finestre, nessuno ha visto niente, e gli spari sono sembrati a tutti dei petardi. Oggi le signore che escono di casa per fare la spesa o andare a Messa si ricordano bene di quello che è successo, ma allargano le braccia e preferiscono non parlarne più.
Come se non bastasse, il sagrato della chiesa è invaso dalle auto parcheggiate e di sacchetti di rifiuti. A essere finito nel cestino in questo caso è semmai il senso del decoro e della cura del proprio quartiere.
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