Devono restare in carcere, almeno fino a quando il gip di Milano non valuterà le loro posizioni, i due egiziani arrestati nei giorni scorsi dalla questura di Lodi per l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina: all’esito degli interrogatori di garanzia tenutisi ieri mattina nel carcere di via Cagnola il giudice delle indagini preliminari Andrea Pirola ha dichiarato la propria incompetenza, in quanto, da oltre un anno, il reato è diventato di competenza della direzione distrettuale antimafia.
Hossam Abd El Latif, 42 anni, che tra l’altro risulta fosse in passato il titolare della rosticceria “islamica” di via Solferino, nonché referente della comunità egiziana lodigiana con tanto di menzione e numeri di telefono sul sito dell’Informagiovani del Comune di Lodi, ha deciso di rispondere alle domande del magistrato. E lo ha fatto mantenendo la propria linea: non ho mai preteso soldi che non mi fossero dovuti e i posti di lavoro per i miei connazionali c’erano davvero.
In quanto legale rappresentante o socio di diverse cooperative, nel settore dell’edilizia o dei servizi, Abd El Latif, già candidato per il nuovo parlamento egiziano e in procinto di superare l’ultimo esame per diventare avvocato in Egitto, è accusato di quindici episodi illeciti tra il 2005 e il 2008: nulla osta all’immigrazione, e permessi di soggiorno, procurati facendo pagare somme dai 3 ai 10mila euro per ciascun migrante. Somme che per l’accusa servivano a giustificare la collocazione, temporanea, persso società da lui “pilotate”, con posti di lavoro che secondo la polizia erano fittizi. Questa la tesi dei pm Paolo Filippini e Gianpaolo Melchionna, che ora devono passare gli atti alla Dda.
Secondo l’avvocato Augusto Cornalba, che difende l’imprenditore egiziano, il lavoro era invece reale, compresi anche i conseguenti occasionali licenziamenti, «e se percepiva 130, 140 euro al mese, era perché anticipava le spese di affitto e bollette. Non sono nemmeno da considerarsi prestiti, questi», sottolinea il difensore.
Hashem Mowafk, il secondo arrestato, imprenditore di 40 anni, che risulta titolare della società di giardinaggio Engy con sede all’8 di via Diaz a Crespiatica, è accusato invece di aver fatto da prestanome, creando una società che invece di lavorare creava posti fittizi per legittimare l’immigrazione e il soggiorno di egiziani. Difeso dall’avvocato Rosalia Perrone, si è avvalso della facoltà di non rispondere: «Chiariremo con il gip di Milano, dopo aver studiato le contestazioni, che le cose non stanno così». Il gip milanese si dovrà esprimere entro 20 giorni, e a lui saranno presentate le istanze di misure cautelari alternative. Nel frattempo, sull’assoluta innocenza di El Latif è pronto a giurare Akram Ragab Mohamed El Battawi, che di Hossam è il cognato ma anche il socio nella General Service, società di pulizie di San Giuliano Milanese della quale è amministratore delegato e nella quale, garantisce, «tutti gli assunti lavorano veramente, sono pagati e gli versiamo i contributi. Dicono che prendeva 10mila euro, in Egitto, ma chi l’ha visto? Non è vero. Hossam tiene ai suoi concittadini e alla sua comunità, e posso portare tantissime persone che sono pronte a garantirlo». Racconta di essere arrivato lui stesso, in Italia, con un contratto subordinato «finché non ho trovato un altro lavoro», ma lavorando per davvero, regolarmente, come le persone aiutate da Hossam: «Ha anche il diabete, ma lavora sodo sempre e va sempre da chi gli chiede aiuto - riprende -. E poi è qui da 22 anni, ha meriti e lavoro, fa tutto in regola. Non ha e non abbiamo bisogno di fare queste cose: perché dovremmo rischiare, assumendo per finta dei ragazzi, conoscendo bene le leggi italiane? Non potremmo farlo, anche per non rischiare i nostri clienti. Ci sono rimasto male, per lui, per la sua famiglia e per il suo lavoro, perché Hossam è un uomo che ha aiutato tante persone: ma credo nella giustizia e so che alla fine la verità uscirà».
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