La battaglia contro l’accertamento fiscale dura da 12 anni e ora deve ripartire da zero
I tempi della giustizia tributaria travolgono un imprenditore di Codogno
Ha dichiarato un fatturato di 889mila euro ma secondo l’Agenzia delle entrate, alla luce degli “studi di settore” e non solo, avrebbe dovuto dichiarare poco più di un milione e mezzo. E, anche se in appello aveva avuto ragione, ora la Cassazione ha deciso che si debba ripartire dal primo grado di giudizio, per un’eccezione tecnica. È la disavventura giudiziaria, ma anche con conseguenze economiche potenzialmente molto pesanti, che sta vivendo un ristoratore di Codogno. Il bilancio aziendale sotto accusa è quello del 2005 e la Cassazione si è pronunciata solo nelle settimane scorse, senza però mettere la parola fine ma facendo ripartire l’iter giudiziario da zero.
Tutto comincia nel 2008 quando la guardia di finanza decide di effettuare un accertamento su una pizzeria del pieno centro di Codogno e determina, con metodo analitico induttivo, che il ricavato dell’attività avrebbe dovuto essere quasi doppio rispetto al dichiarato. L’imprenditore fa ricorso alla commissione tributaria provinciale di Lodi che però, in primo grado, gli dà torto e conferma che quegli avvisi di accertamento sono da pagare. Il ristoratore però non si arrende e fa appello alla commissione tributaria regionale di Milano, che invece annulla gli accertamenti osservando che “il mero scostamento in percentuale sui ricavi contabilizzati rispetto al ricavo puntuale dello studio di settore non integrasse grave incongruenza, a fronte di contabilità formalmente regolare, tenuto conto anche dell’ubicazione dell’esercizio in piccolo paese di provincia del Lodigiano”. E si arriva al 2013. L’Agenzia delle entrate però non si arrende e va in Cassazione ribadendo la correttezza dell’operato della Finanza, che si era basata anche sul conteggio dei coperti desunti dall’uso di tovaglie e tovaglioli e sulle materie prime, ma anche eccependo la nullità dei giudizi di primo e secondo grado perchè l’altro socio (all’1 per cento) dell’attività non si è costituito. E proprio su questo punto la Cassazione ha accolto la tesi dell’Agenzia delle entrate, disponendo che il giudizio riparta dal primo grado, cioè dalla commissione tributaria di Lodi, perché per essere valido deve coinvolgere non solo il socio al 99% ma anche quello di minoranza. Cioè si ripartirà da quella fase del giudizio che era già stata intrapresa dal contribuente una decina di anni fa.
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