Uno su cinque non ha niente: nè posto di lavoro nè stipendio, nessuna carriera e nemmeno un mattone per iniziare a costruire il suo futuro. I giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni hanno raggiunto quota 22,5 per cento, un esercito tra i più numerosi di tutto lo Stivale. È vero, ci sono province dove la schiera di ragazzi e ragazze in cerca di un contratto è più numerosa, la maglia nera spetta a Carbonia Iglesias, in Sardegna, dove si tocca il 54,7 per cento, ma se si resta all’interno della Lombardia a fare peggio ci sono solo Mantova con il 28,1 per cento, Cremona con il 26,4 per cento e Pavia con il 25 per cento. I più fortunati, invece, vivono vicino al lago: a Como i senza lavoro sono “solo” il 14,7 per cento.
Più in generale, la Lombardia si difende bene, insieme a Veneto, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino Alta Adige ha un tasso di disoccupazione sotto il 10 per cento.
Nel Lodigiano, però, ci sono altri giovani che non sono ancora riusciti a “sfondare” nel mercato del lavoro: il 5,1 per cento di coloro che hanno un’età compresa tra i 25 e i 34 anni non ha ancora un’attività. Complessivamente, il tasso di disoccupazione per gli “under 34” del territorio ammonta a 9,1 per cento. A scattare una fotografia della situazione ci ha pensato l’ufficio studi di Confartigianato, una ricerca nella quale si rileva che in Italia tra il 2008 e il 2011 gli occupati con meno di 35 anni sono diminuiti di 926mila unità. Il Belpaese detiene ormai da tempo il record in Europa per la disoccupazione giovanile, con 1 milione 138mila persone senza lavoro.
Non tutto è perduto, almeno così la pensa qualcuno sul territorio. Vittorio Boselli, segretario provinciale di Confartigianato, punta i riflettori sull’universo rappresentanto dalla sua associazione: l’artigianato - inteso come arte, senso estetico, manualità, capacità imprenditoriale e conoscenza - può rappresentare uno spiraglio per chi si vuole affacciarsi sul mondo del lavoro. «Il dato più preoccupante relativo alla disoccupazione - commenta - riguarda i più giovani, un numero che identifica un gruppo di persone piuttosto consistente, pari a due giovani su dieci. Ragazzi e ragazze che risultano essere “border line” sia rispetto al lavoro sia rispetto alla scuola, questo significa che anche la capacità del terziario di assorbire figure non è illimitata. Si tratta di una percentuale che ci deve far riflettere sulla necessità di riproporre attraverso la famiglia e la scuola il valore di professioni nelle quali la manualità si sposa con le conoscenze tecniche, sotto questo punto di vista il settore dell’artigianato può offrire un’occasione di realizzazione ai giovani che non trovano altri percorsi un futuro».
Come fare? Mettendo in campo percorsi formativi specializzati: «Credo sia necessario puntare sulla qualificazione della formazione professionale - sottolinea Boselli -, anche perché il fabbisogno di figure che sul mercato non si trovano è un fenomeno che resiste. Recuperiamo il lavoro manuale, nella sua accezione più moderna, alla base servono percorsi qualificati per raccogliere l’interesse dei giovani e delle famiglie».
Greta Boni
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