L’esito del referendum e la qualità della politica
L’editoriale del direttore de «il Cittadino» Lorenzo Rinaldi
Sette italiani su dieci - tra quanti si sono recati alle urne - ritengono che il numero dei parlamentari italiani (630 alla Camera e 315 al Senato) sia di gran lunga superiore alle esigenze di governabilità del Paese e di rappresentanza dei territori. Un giudizio legittimo, maturato nella più alta espressione della democrazia quale è il voto, e che ha fatto esultare quei partiti e movimenti (uno su tutti i 5 Stelle) che da anni predicano la riduzione dei costi della politica e un rapporto più diretto tra la base elettorale e i centri del potere.
La prospettiva dunque è quella di una robusta riduzione dei parlamentari e di un conseguente risparmio per le casse dello Stato, sebbene di entità poco significativa, almeno se paragonato al costo complessivo della “macchina pubblica”.
Rimangono irrisolti tuttavia due “problemi” della nostra architettura istituzionale, probabilmente ben più urgenti rispetto al taglio dei parlamentari. Il primo è il bicameralismo perfetto, che da anni “ingessa” i due rami del parlamento e allunga i tempi legislativi. Il secondo è la legge elettorale, da rivedere al più presto secondo un modello che riesca finalmente a dare un reale potere di scelta agli elettori e riduca il peso delle segreterie politiche.
Senza questi due interventi, il referendum si rivelerà del tutto inutile, perché si limiterà a ridurre il numero di deputati e senatori - seguendo peraltro il diffuso e pericoloso sentimento dell’antipolitica - senza sanare la situazione di fondo.
A monte di queste considerazioni rimane infine l’elemento più importante, anche se poco considerato nel dibattito che ha anticipato il voto di domenica e lunedì: la qualità della classe politica, che rispecchia, inutile nasconderlo, il “sistema-Paese”. Senza uno sforzo collettivo il rischio è quello di ritrovarci con un parlamento semplicemente più snello, ma con tutti gli attuali limiti qualitativi. Un parlamento di nominati, graditi alle segreterie politiche romane, spesso incapaci di intercettare e comprendere le istanze dei territori e, come ha dimostrato la recente esperienza pandemica, sovente subalterni alla decretazione d’urgenza del governo.
Se vogliamo che il parlamento torni a essere centrale nella vita democratica del nostro paese non dobbiamo ridurre il numero dei parlamentari ma impegnarci, tutti, a elevarne la qualità. Ma per questo non basta un referendum.
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