L’imperialismo cinese e turco e la debolezza dell’Europa
L’editoriale del direttore de «il Cittadino» Lorenzo Rinaldi
L’assenza di una seria politica estera comune è storicamente uno dei punti deboli dell’Unione europea. E, nonostante sia una carenza riconosciuta, non sembrano esserci passi avanti. Anzi, dell’immobilismo della Ue traggono vantaggio potenze regionali o mondiali, come Turchia, Russia e Cina. Due piccole storie, emerse nell’ultima settimana, sono eloquenti.
Lunedì il nuovo governo libico ha fatto visita (sarebbe meglio dire ha reso omaggio) al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ad Ankara sono arrivati il nuovo premier Abdel Hamid Dabaiba, 14 ministri, 5 vicepremier, il capo di stato maggiore e un gruppo di alti funzionari. Un segno evidente che i rapporti fra la Libia e la Turchia sono sempre più stretti, esattamente quanto vuole Erdogan, interessato a estendere la propria area di influenza a danno dell’Unione europea.
Erdogan ha assicurato l’aiuto economico della Turchia nel processo di ricostruzione libica e ha ribadito il supporto militare al neonato governo di Tripoli (in passato la Turchia aveva contribuito alla difesa della capitale libica dall’assalto del generale della Cirenaica Khalifa Haftar).
La nuova offerta di sostegno non è disinteressata: Erdogan ha chiesto alla Libia di confermare l’accordo sullo sfruttamento delle risorse marittime nel mar Mediterraneo siglato nel 2019 e che ha suscitato proteste da parte di altri stati costieri.
Il governo Dabaiba sembra dunque guardare alla Turchia, non esattamente un campione di democrazia (come ha giustamente segnalato il presidente del consiglio Draghi parlando di Erdogan), tralasciando il rapporto con l’Unione europea. Non è un bel segnale.
Così come non è edificante una seconda piccola storia, che arriva dai Balcani e che dimostra anch’essa come l’Europa fatichi a muoversi in ambito internazionale con efficacia. Il governo del Montenegro, paese candidato a entrare nell’Ue, rischia di finire stritolato nella morsa cinese. Ha accettato un prestito di un miliardo di euro dalla banca cinese Export Import Bank, soldi che dovevano servire per realizzare un’autostrada verso Belgrado. Il progetto non è andato a buon fine e a ciò si aggiunge che ora il Montenegro, anche a causa della crisi del Covid, non ha liquidità per onorare il debito. L’accordo prevede che in caso di insolvenza, il Montenegro ceda in concessione al creditore cinese parte del territorio nazionale: in questo modo Pechino conquisterebbe lo sbocco sul Mediterraneo e potrebbe controllare le attività portuali, elemento strategico in quanto una parte rilevante delle merci prodotte in Cina e destinate al mercato europeo viaggiano su nave. Sembra “fantascienza”, ma non è un’ipotesi così peregrina: in alcuni paesi del terzo mondo, ad esempio lo Sri Lanka e il Pakistan, è già accaduto.
Per la debolissima economia del Montenegro un miliardo di euro è una cifra molto alta, l’Unione europea invece potrebbe rifinanziare il debito del governo di Podgorica con estrema facilità e libererebbe il Montenegro - e quindi il bacino del Mediterraneo - dalla pericolosa influenza della Cina, stato, al pari della Turchia di Erdogan, dove non vige la democrazia. Purtroppo, ad oggi, Bruxelles non ha dato l’impressione di voler intervenire. Un altro pessimo segnale.
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