L’INCHIESTA Nei campi i veleni delle fogne: un business che non si ferma
Fanghi, un’indagine a Lodi e un’altra a Brescia hanno svelato illeciti milionari ma il sistema non cambia
Fanghi e veleni nei campi, ci risiamo: nel maggio del 2017, dopo l’inchiesta avviata nel 2012 dalla Polizia provinciale di Lodi, all’epoca comandata dal poliziotto di lungo corso Arcangelo Miano, la società Cre aveva chiuso con un patteggiamento e una confisca da tre milioni di euro la vicenda giudiziaria dell’accusa di aver gestito illecitamente 110mila tonnellate di fanghi da depurazione, smaltendoli tra il 2012 e il 2015 nei campi del Lodigiano e del Pavese senza che il materiale avesse sempre subito il trattamento di inertizzazione previsto per legge e senza preoccuparsi troppo se i medesimi appezzamenti di terreno ricevevano più dosi di fanghi in un arco di tempo limitato. Quindici gli indagati, di cui 12 avevano patteggiato pene tra 9 mesi e due anni di reclusione.
Adesso sembra che la storia si ripeta, con l’inchiesta della Procura e dei carabinieri forestali di Brescia che ipotizzano oltre 12 milioni di euro di profitti illeciti, e altre 150 mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti (l’equivalente di circa 5mila Tir), spacciati per fertilizzanti - cosiddetti gessi fecali - e smaltiti su circa 3.000 ettari di terreni agricoli nelle regioni Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, tra il gennaio del 2018 e l’agosto del 2019. Anche questa volta l’ipotesi è di attività organizzata per la gestione illecita di rifiuti e la società finita sotto indagine è la Wte di Brescia, che aveva assoldato anche un tecnico analista che in passato aveva lavorato per la Cre.
Sia i fanghi, sia i “gessi” sono ammendanti agricoli consentiti dalla legge, a patto che contengano quantità di idrocarburi e metalli pesanti, entrambi cancerogeni, al di sotto di determinate soglie. Il che non è scontato, dato che la materia prima sono i depositi solidi dei depuratori, sia delle città sia delle industrie. E dato che nelle fognature può finire di tutto, non tutti i fanghi da depurazione potrebbero poi venire lavorati e finire nei campi come concime. Il ciclo dei fanghi, come quello in cui è specializzata la Cre, prevede solo un trattamento con calce, per abbattere la carica batterica e le emissioni odorigene, e un ciclo di miscelazione e stagionatura affinché il risultato finale sia una sostanza inerte e batteriologicamente non pericolosa. Il ciclo dei “gessi fecali” è un’evoluzione del ciclo dei fanghi che prevede, oltre al trattamento con la calce, un secondo trattamento con acido solforico, che produce solfato di calce, gesso, appunto. L’inchiesta bresciana ipotizza che non venissero rispettati i tempi di maturazione e che invece della calce venisse impiegato nel trattamento un prodotto che conteneva anche del gesso, in moto tale che, in caso di analisi sul prodotto finito, sembrasse che il gesso si fosse formato durante la maturazione prevista, che richiede mesi. Tempo che invece veniva risparmiato, con il risultato che alle autorità erano arrivate centinaia di segnalazioni dai cittadini perché i”gessi” che venivano sparsi nei campi generavano gravi molestie olfattive. Inoltre, secondo l’accusa, dato che l’acido solforico ha a sua volta un costo, l’azienda bresciana avrebbe trovato anche il modo di procurarsi l’acido solforico di scarto delle batterie al piombo esauste, con il rischio che contenesse sali di piombo, destinati a sopravvivere al trattamento di stabilizzazione dei fanghi e quindi a finire nei campi e, da qui, nella catena alimentare, attraverso il foraggio per mucche e maiali piuttosto che direttamente nelle graminacee. Illuminante, per dare il polso dei rischi di frodi di questo genere, un’intercettazione attribuita al tecnico che aveva lavorato anche per la Cre: «Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente».
Questo materiale è finito anche nei campi di aziende agricole di Lodi, di Casalpusterlengo e di Castiglione d’Adda (ben tre).
Agli agricoltori, che non sono finiti indagati, non si presentava direttamente la Wte ma dei terzisti, bresciani e cremonesi, che offrivano gratis sia la concimazione con i gessi fecali - accompagnati da bolle e certificati di analisi apparentemente in piena regola, sia la successiva aratura del terreno. Per i contadini, un bel risparmio, sia nella spesa per i fertilizzanti sia per l’aratura. Perché comunque gessi e fanghi, derivando dai depositi dei depuratori fognari, contengono sostanze azotate. Alcuni anni fa Regione Lombardia, dopo l’inchiesta lodigiana sulla Cre, aveva innalzato il limite massimo ammissibile del contenuto di idrocarburi, dato che difficilmente si riuscivano a rispettare le soglie precedenti, molto più restrittive (ma tutto andava bene finché c’erano pochi controlli), una mossa che era stata contrastata, con successo, da una cinquantina di comuni. L’alternativa, per i residui di depurazione troppo contaminati da sostanze chimiche, è l’essiccazione con destinazione a incenerimento, che però ha dei costi superiori.
È però paradossale pensare che da una parte si fa una fatica enorme a ripulire le acque di scarico dai contaminanti, per restituirle limpide ai fiumi, e dall’altra ci si preoccupa ben poco nel prendere quegli stessi inquinanti e spargerli con i trattori nei campi in cui cresce tutto quello che mangiamo.
«Noi sconsigliamo ai nostri associati l’utilizzo dei fanghi e dei gessi fecali - spiega Antonio Boselli, presidente di Confagricoltura Lombardia - perché di fatto gli agricoltori non possono controllare quello che c’è dentro, e anche i controlli sulla filiera sono troppo pochi. Fortunatamente nel Lodigiano e nel Milanese l’utilizzo è limitato, anche se bisognerebbe chiedere a Regione Lombardia se dispone di una mappatura completa, perché abbiamo moltissimi allevamenti, che generano letame con il quale si effettua in modo naturale la concimazione dei terreni, sia nell’impiego diretto sia dopo la fermentazione per produrre biogas. Tanti produttori però si fanno allettare dal risparmio derivante dall’aratura gratuita offerta dagli spanditori. In caso di controlli serrati sulla qualità dei terreni però potrebbe capitare che un campo, con metalli pesanti finiti sopra soglia a causa dell’accumulo di fanghi, debba essere sottoposto a bonifica, con costi inimmaginabili».
Dopo l’inchiesta bresciana, la politica è tornata a discutere dei fanghi ma il business è enorme, e ne beneficiano anche le municipalizzate che hanno costi di smaltimento inferiori rispetto all’incenerimento o alla discarica. Dietro i profitti però ci sono i costi invisibili in salute, dai tumori alle malattie degenerative.
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