Una risposta in 48 ore contro il batterio killer. A Lodi, è possibile grazie ad una tecnologia individuata dal Parco Tecnologico Padano. Perché trovare il colpevole di un delitto è più semplice a poche ore dal crimine. Così come è facile capire se e come ci sono tracce di Escherichia coli Verotossigenici (VTEC) a poche ore dall’intossicazione. E non dopo poco di un mese e dopo aver causato danni incalcolabili ad alcuni settori dell’industria alimentare. Il sistema si basa sull’analisi del Dna dello stesso batterio Coli rivenuto nelle feci dell’individuo contaminato. Una volta isolata la striscia, si passa al confronto con gli alimenti ingeriti nelle ultime 48 ore. Un’innovazione interamente basata sull’universo delle molecole che permette di indirizzare la ricerca dell’agente patogeno con estrema rapidità. E che nel giro di una settimana può anche arrivare ad un risultato definitivo. Il batterio che ha fatto tremare l’Europa, e che ha causato 31 vittime e oltre 3 mila malati, è stato individuato il 15 maggio scorso, ma per più di tre settimane è stato buio pesto sull’origine e la diffusione dell’epidemia. Se è pur vero che l’Escherichia Coli è un comune batterio intestinale e l’identificazione di ceppi virulenti può essere ancora più complicata. «Queste infezioni – spiega Pietro Piffanelli che, presso il Parco Tecnologico Padano di Lodi sviluppa metodi per scovare i patogeni alimentari – sono particolarmente pericolose perché possono risultare fatali. Predisporre metodi per individuarle può salvare molte vite». Gli alimenti che rischiano di essere più frequentemente contaminati sono quelli che più spesso sono a contatto con feci animali, come la carne e i vegetali freschi fertilizzati con reflui zootecnici. Per questo, «il controllo della presenza di VTEC nella catena di produzione e di distribuzione – prosegue Piffarelli - è di grande rilevanza per minimizzare il rischio di infezione nell’uomo». Un controllo che, grazie alle tecniche del Parco Tecnologico Padano, è più veloce. Una celerità che è stata applicata anche per il caso della mozzarella avariata che ha messo in allarme il Lodigiano l’estate scorsa. «Con lo stesso sistema siamo stati in grado di sapere se era tossica oppure no in 24 ore rispetto ai sette giorni dell’indagine tradizionale» dicono dal Parco. Un metodo che però oggi è riconosciuto come lo standard solo per i controlli sul latte crudo, grazie ad una normativa della Regione Lombardia. Le indagini tradizionali, in casi come quello del batterio killer, prevedono l’estrazione dei germogli e la coltivazione in un terreno apposito a cui segue l’analisi dei batteri che crescono insieme al germoglio. Con tempi lumaca rispetto a quelli dell’indagine super tecnologica sul dna del Parco lodigiano.
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