LODI Giancarlo Zanella e Mani Pulite,
l’inchiesta che ha cambiato l’Italia
Il giornalista Rai ha seguito le storie più grandi dell’Italia politica ed economica degli anni Novanta
Lodigiano, Giancarlo Zanella, classe 1955, dagli anni Novanta ha seguito e commentato per la Rai momenti difficili dell’Italia politica ed economica.
Quali sono stati gli inizi giornalistici?
«Ho iniziato nei primi anni ’80, dopo il militare, collaborando con “Il Cittadino”, quando il direttore era don Mario Ferrari. Poi vi fu l’opportunità del “Corriere Padano” che era sorto a Piacenza e ne diventai il direttore. Con l’editore De Petro vi fu l’idea di portare questa testata anche nel Lodigiano, inizialmente come settimanale e poi dal 1986 bisettimanale».
E proprio nel 1986 che iniziativa ebbe il “Corriere Padano”?
«Lodi fece il gemellaggio con Costanza e realizzammo un numero speciale in italiano e tedesco, che distribuimmo sia a Lodi che a Costanza. È stata una bella esperienza e di successo, fatta in particolare con Beppe Cremaschi e Diego Scotti».
Arrivò il momento che lasciasti la cronaca del Lodigiano...
«Venni assunto da “Il Corriere della Sera” dove rimasi per quattro anni».
Ed arriviamo al grande salto...
«Nel 1991 andai in Rai perché potenziarono la redazione di Milano. Sono entrato a fine anno, come redattore anziano, occupandomi di economia e cronaca».
La data 17 febbraio 1992 cosa ti ricorda?
«Scoppiò Tangentopoli. Occupandomi di cronaca, fui travolto. Seguii ogni fase riguardante l’inchiesta fino al 1999, nell’ultimo processo a Brescia con Antonio Di Pietro».
Per i telespettatori diventi il volto tv che racconta qualcosa che ogni giorno assume dimensioni sempre più grandi. Potevi supporre a quanto poi accaduto?
«All’inizio nessuno aveva capito, perché si era un po’ travolti dalla cronaca e poi devi considerare che iniziò tutto quando il pubblico ministero Di Pietro ottenne un ordine di cattura per Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio figura di spicco del Partito Socialista milanese. Sembrava una questione locale. Poi le cose cambiarono quando alle elezioni del Parlamento, tenutesi il 5 e 6 aprile, dopo la chiusura delle urne, cominciarono a scattare gli arresti. Si arrivò ad avere gli avvisi di garanzia a persone facenti parte dei principali partiti, fino all’avviso di garanzia del 15 dicembre per Bettino Craxi. Si cominciò a pensare che era una cosa di particolare rilevanza, però non ci si rendeva ancora conto di essere in un passaggio cruciale della storia del Paese. In Rai avevamo tantissime edizioni e poi la radio, ovviamente non si aveva molto tempo per pensare. Gli orari in redazione non contavano più».
Quali ricordi hai di fatti principali che ti videro impegnato?
«I ricordi sono tanti ma l’inchiesta su Di Pietro a Brescia, ebbe un grandissimo risalto. Era una sorta di revisione di “Mani pulite” nel suo complesso, con vari arresti. Vennero fatti anche decreti per stoppare le inchieste piuttosto che farle proseguire. Ricordo la diretta che feci per il TG2 da Milano nel 1994 per l’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi, relativo al primo interrogatorio. Dovetti fare il servizio all’ultimo momento, tecnicamente un po’ complicato, ma stimolante. Mi ricordo il finanziere e banchiere Perfrancesco Pacini Battaglia, morto recentemente. Il suo nome salì alla ribalta per l’inchiesta sui fondi neri dell’Eni. Con lui avevo un rapporto particolare e mi aveva invitato dove risiedeva vicino a Lucca, ma non ci sono mai andato. Era persona scafata ed in mano aveva molti segreti. Lui però era veramente “muto”, non parlava e invece avrebbe potuto dire diverse cose. Un altro aneddoto nel 1996, primo processo in cui imputato era Berlusconi, in aula a Milano. Noi della Rai eravamo gli unici che potevamo fare il collegamento in diretta dall’aula e poi dovevamo distribuirlo a tutte le altre televisioni. In una pausa intervistai Berlusconi. La prima cosa che mi disse fu: “Ah lei è Zanella, quello che segue a Brescia l’inchiesta di Di Pietro”. Ecco, lui in quel momento aveva già messo in chiaro che seguiva tutto. Mi ricordo il suicidio di Raul Gardini, presidente del Gruppo Ferruzzi-Montedison, lo stesso giorno dei funerali di Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni ed anche lui suicida tre giorni prima. Per noi in redazione fu un tour de force. Praticamente il primo anno, ma anche nel 1993, ogni giorno si doveva aggiornare quella che noi giornalisti chiamavamo la “classifica”».
In quegli anni non solo “Mani Pulite”...
«Potrei citare il 27 luglio 1993: l’attentato di via Palestro dove vi furono cinque morti, ricordo che in redazione facemmo 36 ore ininterrotte di lavoro. Ho seguito il processo per l’omicidio nel 1995 di Maurizio Gucci, che dal punto di vista mediatico è stato di livello mondiale. Nel 1998, per quello che era successo nella Città del Vaticano, con il triplice omicidio che vide coinvolto il comandante delle Guardie Svizzere, Estermann, mi mandarono di corsa a Gunzwil, uno sperduto paesino svizzero, vicino a Losanna, dove aveva vissuto il capo delle guardie, e riuscii a parlare con il suo maestro e il sindaco».
Hai mai pensato di scrivere un libro sugli anni che hanno chiuso la prima repubblica?
«Più volte mi è stato detto di scrivere un libro, anche con aneddoti che non sono all’onore delle cronache e che preferisco non dire perché arrivano da confidenze sul rapporto personale e coinvolgono persone ancora vive e di rilievo. Però ho sempre detto no, anche se sono stato sollecitato da molti che mi avrebbero messo a disposizione altri documenti. Forse non è ancora il momento e la storia forse riuscirà a dire tutto tra qualche anno. Molte carte mancano ancora nel gioco e forse non usciranno mai».
Dopo 30 anni ritieni che qualcosa abbia insegnato quel periodo nero italiano?
«Ci sono stati aspetti positivi e aspetti negativi, errori fatti da tutti, anche dai giornalisti. Però poi il risultato finale non so quanto abbia inciso nella vita del Paese. Certamente dal punto di vista politico ha sconvolto, sono usciti distrutti molti partiti e ha cancellato la prima repubblica, anche se non sono mai esistite né la seconda, né la terza. Di fatto ancora oggi è la prima repubblica che si sta modificando, questa è la mia opinione. Quanto accaduto ha inciso sull’economia, era un mondo completamente diverso e probabilmente non sarebbe potuto andare avanti molto perché le tangenti si pagavano. Non è vero che non è stato condannato nessuno e che molti sono stati assolti e non è vero che non abbiano scontato le pene. Io avevo un buon rapporto con Cusani e lui ha fatto il suo periodo in carcere e poi ha aiutato anche i carcerati».
Oggi sei presidente del Circolo Canottieri Adda 1891. Novità in arrivo?
«È impegnativo ma essendo socio da tanti anni, lo faccio volentieri. L’assemblea dei soci, essendo la Canottieri una ASD, ha approvato l’adeguamento allo statuto per allinearlo alle nuove regole della legge dello sport ed anche il progetto di difesa spondale dell’Adda, un’opera che la Regizone Lombardia finanzia per 1 milione e mezzo di euro, riconoscendo la Canottieri storicamente e socialmente importante per la città di Lodi con i suoi 3700 soci che rappresentano l’8% della città».
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