LODI «Omicidio Ramelli, responsabili coperti da omertà di ambiente»

Guido Salvini, il magistrato che ha indagato sulla vicenda, è intervenuto all’incontro su Facebook organizzato dal Comune

Fabio Ravera

Due ore e 20 minuti per approfondire la figura e la vicenda di Sergio Ramelli e argomentare le motivazioni che hanno spinto il Comune di Lodi a intitolargli una via cittadina. Tanto è durato, mercoledì sera, l’incontro in diretta Facebook organizzato dall’amministrazione, propedeutico alla cerimonia di ieri mattina. Un evento che ha generato un aspro dibattito politico negli ultimi giorni, riacceso dall’intervento del consigliere di opposizione Stefano Caserini a fine conferenza: «Da parte mia non c’è alcuna intenzione di minimizzare un omicidio terribile - le sue parole -. Il motivo per cui abbiamo votato contro l’intitolazione della via a Ramelli sta nel fatto che ci è sembrato un modo per alimentare la strumentalizzazione e una propaganda di camicie nere e braccia alzate». «Credo invece che intitolare la via a Ramelli sia un modo per disattivare l’odio - la risposta di Guido Salvini, il magistrato che ha condotto le indagini che hanno portato alla scoperta dei responsabili dell’omicidio di Ramelli -. La vittima è riconosciuta come parte della comunità italiana, come parte della democrazia».

L’incontro si è aperto con le parole del vicesindaco Lorenzo Maggi che prima ha ricordato l’arresto dei sette terroristi rossi («Un collegamento con l’argomento che stiamo trattando»), definendo quindi Ramelli «un simbolo di anni drammatici, una vittima dell’odio e della violenza: l’ideologia accecava a tal punto che gli avversari diventavano oggetti da essere abbattuti. Altre trenta città in Italia hanno deciso di dedicargli una via». Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato, seguì da vicino la vicenda come avvocato della famiglia Ramelli: «Solo l’abilità Guido Salvini, un magistrato serio e non di destra, riuscì a evitare vari tentativi di depistaggio durante le indagini. Ramelli è diventato un emblema di memoria identitaria. Ma vorrei che la sua memoria fosse divisa più largamente. Da quando Indro Montanelli lo indicò come simbolo della violenza subita da coloro che si opponevano al pensiero dominante, Ramelli ha assunto l’identità di un eroe moderno che ha lottato affinché le proprie potessero essere espresse senza bisogno di violenza». Guido Salvini ha quindi gettato luce sul clima pesantissimo di quegli anni e ricostruito la vicenda di Ramelli, morto dopo 47 giorni di agonia, il 29 aprile 1975, in seguito a un brutale agguato da parte di un gruppo di militanti legati ad Avanguardia operaia. «Ramelli scrisse un tema in cui attaccò duramente le Brigate rosse. A quel punto iniziò l’ostracismo nei suoi confronti. Tutto ciò avvenne dinanzi al corpo docenti e al preside, che nulla fecero per tutelare il ragazzo, forse per conformismo, per paura di esporsi, per paura di andare contro un certo mondo. L’omicidio Ramelli non è stato un caso isolato, ma è avvenuto all’interno di una lunga catena di aggressioni contro persone che avevano solo la colpa di avere idee diverse. I responsabili sono stati a lungo coperti da una omertà di ambiente favorita dalla loro collocazione sociale. Noi magistrati abbiamo sempre agito seguendo una linea di neutralità e di rispetto della persona». Al dibattito hanno preso parte anche i giornalisti Luca Telese, autore di “Cuori neri”, volume che racconta i delitti di cui furono vittime giovani di destra negli anni di piombo, e Guido Giraudo, firma del longseller “Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura”.

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