LODI Sette mesi in ospedale: «Negare il Covid è follia» GUARDA IL VIDEO

Massimo Indica racconta la sua esperienza in occasione della giornata dedicata al controllo dei pazienti che hanno avuto una polmonite grave da Covid nella prima ondata

Nella prima ondata è stato il paziente ricoverato più a lungo in rianimazione. Massimo Indica, 62 anni, di Lodi, ha passato 7 mesi in ospedale, più di 3 intubato, in rianimazione, all’ospedale di Lodi, dal 22 marzo al 26 giugno 2020, e poi altri 4, fino al 14 ottobre, tra terapia sub intensiva, pneumologia e riabilitazione, alla Maugeri di Pavia. Tornare a casa è stato come incominciare una nuova vita. Sabato 12 ottobre, alla giornata dedicata al controllo dei pazienti che hanno avuto una polmonite grave da Covid nella prima ondata, lo vediamo arrivare con il bastone e la moglie che lo tiene sotto braccio per sorreggere la sua camminata incerta. «Lei è la giornalista... ci aveva contattati quando mio marito era in ospedale...». La moglie si commuove. Allora non erano pronti a raccontare, il marito non era ancora uscito dal tunnel della malattia.

«La prima cosa che vorrei che si sapesse - dice il paziente, precisando che non vuole suscitare polemiche, ha fatto 2 dosi di vaccino ed è in attesa della terza - è che questa malattia c’è e può portare alla morte e a una condizione di inabilità. Negare questa malattia è assurdo. Basta vedere quello che ho passato e vedere come sono adesso. Nel rispetto delle opinioni personali, ma le cose stanno così, è innegabile. Dopo 7 mesi di ospedale, a quasi due anni di distanza, ne porto ancora le conseguenze e me le porterò sempre dietro». Però, annota, «ci tengo tanto a dire che in questo decorso, ho incontrato delle persone eccezionali, dal punto di vista professionale e umano, sia in rianimazione, a Lodi, che a Pavia. Devo loro la vita e anche parte della forza di volontà necessaria per superare questi momenti». Oggi, il signor Indica soffre ancora di una neuropatia lieve agli arti superiori e, più seria, a quelli inferiori. «Per camminare uso degli ausili - dice -, poi mi appoggio anche alla stampella. Prima era completamente immobile e senza voce. Ora la voce è ancora rauca, ma c’è, ho dolori costanti e i postumi delle piaghe da decubito ovunque». Indica si gira e ci mostra la ferita dietro al capo. L’inizio della vicenda è stato un incubo. La moglie, infatti, aveva la febbre ed era finita a Sant’Angelo, mentre il marito era rimasto a casa. «Dall’ospedale - dice la signora Claudia - ho chiamato la mia dottoressa per segnalare che Massimo stava peggio di me. Lei è andata a visitarlo e poi ha chiamato il 118 ed è rimasta lì fino a che l’ambulanza non è arrivata». Suo marito, dopo 3 giorni in pronto soccorso è finito in terapia intensiva. «Quando mi sono svegliato - dice l’uomo - non capivo cosa mi fosse successo, ho chiesto subito come stessero mia moglie e i miei famigliari. Sono loro, insieme a tutti i sanitari, che mi hanno aiutato tanto, senza dimenticare la mia fede che mi sta ancora aiutando, insieme ai compagni del gruppo dei testimoni di Geova. La mente spesso torna a quello che è stato e che poteva essere, ma io e mia moglie siamo sereni e felici. Prendiamo il buono che la vita ci offre. Godiamo dell’affetto degli altri e della speranza che la Bibbia ci dà».

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