Una famiglia in lacrime, una parte della città distrutta, per la tragedia di una giovane mamma. È il dramma in cui è piombata Lodi all’alba di ieri per Vielka Mastroni, 36 anni, due figli molto piccoli, trovata morta all’interno del suo bar in via Felice Cavallotti, il “Garden”. Era una persona conosciutissima e amatissima in tutto l’Oltreadda cittadino. Vielka si sarebbe tolta la vita; questa è la versione dei tantissimi amici e conoscenti accorsi sul luogo, perché sulla tragedia autorità giudiziarie e forze dell’ordine hanno steso l’impenetrabile velo del riserbo che caratterizza le indagini. Ciò in attesa che tutti gli accertamenti del caso vengano completati, e nel rispetto di una famiglia sconvolta dal dolore.
Purtroppo non è la prima volta. Era già accaduto in passato, con un’altra terribile tragedia datata dicembre del 1989, quando il padre di Vielka si tolse la vita dopo aver spento anche quella del figlio; un incubo che in molti, a quasi 23 anni di distanza, hanno rivissuto ieri mattina, increduli e sconsolati, proprio come allora. Increduli, sì, perché Vielka, assicurano tutti, era una persona solare, affabile e affettuosissima. E perché amava la sua famiglia, i suoi due figli su tutti, una bimba di cinque anni e un bambino di due.
Eppure «hai visto che cos’ha combinato...», dice un’amica a un’altra, ed entrambe hanno gli occhi lucidi. Dalla folla che si raduna davanti al “Garden” emergono le prime versioni, i racconti e le testimonianze ereditati da amici, conoscenti e familiari di Vielka Mastroni. A trovarla, in quel bar che aveva preso in carico nello scorso dicembre, sarebbe stato un cliente abituale, all’alba, insospettito dal locale ancora chiuso.
Forzata la porta, la tragica scoperta: il corpo della 36enne esanime, i vani tentativi di rianimarla, la corsa disperata del medico del “118” e l’immediata constatazione del decesso. Perché? «Ripeteva spesso che era stanca, stufa, ma sono le cose che dicono un po’ tutti, e lei era così solare e sorridente con tutti...».
Non ci si crede, davvero, a Vielka che non c’è più. E la disperazione corre per tutto il Revellino, campo Marte, ma scavalca anche il ponte dell’Adda, per arrivare dritta e oltre il cuore della città. «Avevamo fatto insieme il corso per la licenza, tanti anni fa, ma la vedevo ancora - ricorda una collega barista -. Era una ragazza aperta, piena di vita e amava i suoi figli: viveva per loro. Non riesco a spiegarmelo: nessuno si aspettava una tragedia del genere».
In un recente passato aveva già vissuto l’esperienza della titolarità di un bar, in città bassa, e anche in quel caso la clientela si era molto dispiaciuta quando aveva abbandonato quell’attività che aveva trasformato il locale in un punto di riferimento per tanti. Qualcuno sposta sguardo e pensiero a poche centinaia di metri di distanza quando, era il maggio 2011, a sconvolgere la città bassa fu il suicidio di Marco Passerini, giovane e benvoluto titolare del bar Campanile.
E a riassumere lo smarrimento collettivo provvedono le parole di don Andrea Prina, che della famiglia Mastroni, residente in via Giovanni Falcone, è il parroco: «Era una donna benvoluta, intesseva rapporti con tutti, era sempre sorridente: ed era molto affezionata ai suoi bambini - sospira il sacerdote, accorso a consolare i congiunti di Vielka non appena appresa la notizia -. Non c’era nulla che lasciasse presagire un gesto del genere: siamo rimasti scioccati un po’ tutti, a partire dalla famiglia, che è molto legata. Mi sembrava entusiasta del suo lavoro, mi aveva chiamato a benedire il bar prima di Natale: ed era contenta».
Adesso don Andrea aspetta di fissare le esequie della 36enne, la cui salma, portata in camera mortuaria, è stata messa come da prassi a disposizione della magistratura. Dalla procura rimbalza un “no comment”, ma è pressoché certo che bisognerà attendere l’esito dell’autopsia prima di riconsegnare Vielka ai suoi cari. Che sono tantissimi, e hanno tante domande, cui forse verrà data una risposta: ammesso che serva, ora che la mamma cui tutti volevano bene è un ricordo che brucia come il fuoco.
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