Mendicanti, in centro è un assedio

Comprare una porzione di alette di pollo al bancone del girarrosto è una tortura. Il ragazzo africano con le treccine si pianta di lato e continua a chiedere. Chiede che gli si compri da mangiare, che gli si diano soldi, che gli si regalino le patatine. «Da un anno ormai è così – commenta a pochi metri uno dei veterani fra i venditori ambulanti -. Non restano più fermi a chiedere soldi. Girano e danno, diciamola tutta, fastidio alla gente». Piazza della Vittoria, giovedì mattina. Il giro al mercato, per anziani e donne sole, è uno slalom tra questuanti e accattoni poco disposti ad accettare un no. Sono organizzati e si conoscono: «Vengono da fuori, dal Milanese. Li vediamo arrivare qui in gruppo dalla stazione al mattino presto quando veniamo ad allestire - prosegue l’ambulante -. Arrivati qui si dividono. Alcuni si fermano in un punto, altri girano e si attaccano alle spalle dei clienti che stanno scegliendo la merce, dando fastidio. Capita che il cliente lasci il prodotto lì e se ne vada via». Non di rado capita che proprio gli ambulanti perdano le staffe. Ieri (giovedì scorso, ndr) l’ha fatto un arabo, venditore di intimo per donne: inviti (bilingue) ad andarsene rivolti a un ragazzo africano troppo insistente con le clienti.

«Una volta - racconta un ambulante – a un cliente cadde di mano una moneta del resto. Uno di questi la raccolse e se la tenne, nonostante le rimostranze del cliente. Dovette intervenire il venditore». Vigili e carabinieri, spiega un’altra ambulante che vende formaggi, passano anche ma l’impressione è che non possano intervenire più di tanto, nonostante le facce dopo un po’ siano sempre quelle.

«Capita che girino il mercato per cinque o sei mesi, tutte le settimane, poi a un certo punto non vediamo più quelle persone e ne arrivano altre. Di certo sono insieme. Adesso, per esempio, c’è un gruppo di Parma che al mattino presto prende il treno e viene qui». Poco più in là, nel parcheggio di piazza Mercato, il solito gruppo di venditori ambulanti impegnati a smistare arrivi e partenze.

Davanti ai bagni pubblici, fisso anche lui, c’è un ragazzo con la barba. Dice di essere per metà senegalese e per metà nigeriano. Non aggiunge altro. O meglio, lo fa solo per implorare soldi con aria sofferente. Possibilmente in formato cartaceo: la moneta da 50 centesimi che gli viene offerta è sdegnosamente rifiutata. Un’altra decina di posteggiatori è di turno in viale IV Novembre: sono quasi tutti senegalesi, indossano maglie di squadre di calcio e cappellini da rapper.

Stesso discorso nel parcheggio dell’ospedale Maggiore in città bassa: una dozzina i ragazzi di colore che smistano le auto e vendono cinture dozzinali. Tutti senegalesi.

«Perché noi senegalesi se non lavoriamo non rubiamo. Facciamo questo» spiega uno di loro che racconta di avere fatto studi di Economia. «E non lo trovi un lavoro?». «Amico, me lo dai tu il lavoro?». Dopo la terza domanda mangia la foglia. «Sei un giornalista, vero?». «Vero». «Ti ho visto prima. Ci hai scattato una foto da lontano». «È vero». «Ci hai scattato una foto senza chiedere il permesso». Sorvolo sul fatto che siamo in un luogo pubblico ed è lui quello che vende abusivamente cinture contraffatte. «Te lo chiedo ora il permesso. Ti posso fare una foto?». Si gira e va via. «Buon lavoro, amico». Buon lavoro a te.

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