Provincia, incognite per i lavoratori

«Dove andremo a finire?», si chiedono i sempre più snervati, esasperati e confusi dipendenti di palazzo San Cristoforo. Da Roma un giorno arrivano inquietanti notizie su possibili licenziamenti e il giorno dopo partono le nemmeno troppo velate smentite. «Tutto sembra fermo nel limbo, non si capisce più niente». Sì, perché il matrimonio tra Lodi, Cremona e Mantova si sta rivelando più complesso del previsto.

In via Fanfulla lavorano 180 persone, per loro l’ipotesi più ottimistica sarebbe quella del trasferimento, a Cremona. «Almeno non perderemmo il posto di lavoro», dice qualcuno. «Però fare 50 chilometri per andare a lavorare inciderebbe sicuramente sul bilancio familiare e lo stipendio è quello che è», fa notare qualcun’altro.

Sono pochi (almeno tra gli intervistati) i dipendenti della Provincia di Lodi che temono di essere licenziati, tuttavia si aspettano dei cambiamenti. «Di lavoro ce n’è e ce n’è pure tanto - fa notare un impiegato da dietro la scrivania -, non ci sono altri enti che possono farlo, perché non hanno nè la struttura nè le competenze. Non escludo uno spostamento logistico ma mi auguro che il personale sia mantenuto». Tra i corridoi c’è chi è convinto che le mansioni tecniche siano troppo preziose per farne a meno, nessuno può permettersi di disperdere la loro professionalità. «Più esposti al rischio sono coloro che hanno un incarico legato alle attività politiche, alla gestione del consiglio e della presidenza. Ci sono attività che molto probabilmente saranno centralizzate, come la gestione degli stipendi». Tutti ricordano che negli uffici ci sarebbe bisogno di personale. E dal momento che gli esuberi sono calcolati attraverso un indice che considera il numero dei dipendenti e gli abitanti, «noi siamo al di sotto della media, a differenza di Cremona». Il problema è che, con i nuovi confini, «questo indice non vale più».

Dal primo gennaio non saranno più utilizzati i contratti a tempo determinato: «Ci sono persone che da almeno dieci anni sono state assunte con questi contratti e che ancora oggi si occupano della normale attività degli uffici. Dal momento che non ci saranno più, settori come l’agricoltura e la cultura avranno dei problemi». Un lavoratore sottolinea che Stato e Regioni negli ultimi anni hanno delegato sempre più competenze alle Province, in tutti i settori.

«Se domani chiudessero tutte le Province d’Italia e tutti i dipendenti andassero a casa, l’incidenza sui costi dello Stato sarebbe pari all’1,5 per cento. È questo il modo di dare risposte ai cittadini e alle loro richieste di minori sprechi?».

Chissà se i professori del governo Monti procederanno spediti sulla tabella di marcia così come hanno promesso. Alcuni dipendenti sono convinti che non sarà affatto così: «Le elezioni sono previste per novembre 2013, ora che si ragionerà di tutti questi aspetti sarà il 2014 e con tutta probabilità la fase operativa si terrà nel 2015». Un traguardo ancora troppo lontano. «E nel frattempo ai servizi per i cittadini e ai fondi per sostenerli chi ci pensa?».

Greta Boni

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