Sali, arriva un super esperto

Nessuna conferma ufficiale dagli inquirenti, ma è insistente la voce che indica che sia arrivato a Lodi anche un super esperto di analisi del crimine per ricostruire il possibile profilo di chi ha ucciso sabato pomeriggio il carabiniere di quartiere Giovanni Sali. Professionalità così elevate l’Arma ne ha, ad esempio, nel Racis, con esperti in grado di risalire, partendo dalla scena del crimine, a una caratterizzazione psicologica degli autori che permette, in indagini a vastissimo raggio come questa, di individuare piste più probabili rispetto ad altre.

Ieri intanto si è tenuto un ulteriore sopralluogo tecnico in via del Tempio, mentre i controlli straordinari che impegnano i carabinieri di Lodi e il Battaglione di Milano sono proseguiti, e, altro particolare che fino all’esito delle indagini difficilmente troverà una conferma ufficiale, ci sarebbero già state anche acquisizioni di campioni di dna.

Gli inquirenti coordinati dai pm Giampaolo Melchionna e Armando Spataro hanno sicuramente molti più elementi a disposizione rispetto a quelli finora resi noti dalla procura. Proprio sulla base di questi ridottissimi elementi già pubblici, però, un noto criminologo, consulente in numerosi processo ed estraneo ovviamente a queste indagini, il romano Carmelo Lavorino, se la sente di avanzare per «Il Cittadino» una sua cauta ipotesi: «Allo stato dei dati, ci troviamo di fronte a un omicidio d’impeto, non premeditato», osserva.

Secondo Lavorino, «non sappiamo se Sali sia stato ucciso da una o più persone, ma, considerate personalità e qualità della vittima, si trattava di un soggetto difficile da sorprendere in uno scontro diretto e da soli. Con alte probabilità il carabiniere si è trovato di fronte a più persone che, per autotutela, per garantirsi l’impunità, sono andate allo scontro, magari fingendo nei primi istanti di sottoporsi al controllo e quindi scatenando un’aggressione vigliacca. Un’azione del genere, parlo sulla base di dati statistici, può scattare da parte di soggetti sotto effetto di stupefacenti o di cultura non italica, uno che considera la vita altrui come uno straccio. Gli italiani sanno che uccidendo un rappresentante delle forze dell’ordine scatenano qualcosa di infernale. I malavitosi italiani, per quanto ho visto, difficilmente eliminano una vita umana per proteggere sé stessi. Escludo anche un odio personale verso la vittima: non hanno sparato al volto ma al cuore».

L’utilizzo della pistola di ordinanza, secondo il criminologo romano che si era occupato anche del “mostro di Firenze”, denota che chi ha sparato «è una persona pronta a tutto e molto capace di autocontrollo, e che ha saputo contare sull’effetto sorpresa».

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