Dice di essere «una donna solida e concreta». Ma, soprattutto, ci tiene a ribadire che anche se ha dedicato gli ultimi otto anni alla gestione dei servizi sociali del Broletto, in realtà ha maturato un’esperienza a 360 gradi.
Silvana Cesani, ex assessore in quota Rifondazione comunista, se fosse sindaco farebbe subito due cose: potenzierebbe il fondo anticrisi, che considera «un modo per restituire dignità alle famiglie», e farebbe partire alcuni interventi per promuovere lavoro e occupazione.
Poi ci sono le altre battaglie, il Fanciullezza da portare a termine, «perché questo sarà il punto di partenza di tutte le politiche per la famiglia», e la difesa dell’autonomia della casa di riposo Santa Chiara.
Tra le iniziative che l’hanno vista protagonista c'è la nascita, insieme ad altri protagonisti, dell’associazione “Viviamo insieme il nostro quartiere”, attiva dal 2006 in città bassa con un certo successo. Un’esperienza riconosciuta anche a livello nazionale che vorrebbe “esportare” nelle altre zone della città del Barbarossa, per avere sempre un “filo diretto” con i residenti. Dal suo punto di vista, infatti, abolire i consigli di zona è stato un grosso errore, ecco perché promuovere i “laboratori di quartiere”.
Candidarsi a sindaco nelle primarie del centrosinistra , dopo essersi occupata così a lungo di servizi sociali, è stata una sfida con se stessa?
«Ho sempre amato le sfide e non ho mai pensato di fare l’assessore e... punto e stop. In questi anni ho sviluppato le competenze per seguire tante situazioni, dal Business park a Santa Chiara. Mi sono sempre tenuta aggiornata su tutto».
A proposito di Business park, cosa ne pensa?
«È un tema nato nel ’75 che s’inserisce in un quadro più ampio, quello dell’Università e del Parco tecnologico padano. Spero sia un traguardo raggiungibile in tempi brevi. Sul Business park abbiamo sempre detto che sì deve fare, evitando il consumo di suolo. È importante dialogare con le proprietà delle aree dismesse per valutare la possibilità di insediamenti».
Perché sottolinea sempre che sogna una Lodi solidale ma non assistenziale?
«Con la crisi bisogna attrezzarsi per ripensare modelli di sviluppo e di consumo diversi. Bisogna pensare a quale indirizzo dare al territorio, rimettendo in moto dal basso lo sviluppo. Con la cura del verde, lo smaltimento dell’amianto, recuperando le abitazioni, creando sviluppo tenendo conto degli emarginati».
Chi sono questi emarginati?
«Non solo stranieri ma tanti lodigiani che vivono per la strada, facendo leva sul circuito delle mense e delle case di accoglienza. Non bisogna badare solo all’aspetto caritatevole ma ridare dignità a queste persone».
Lei è abituata ad avere a che fare con le persone in difficoltà, di cosa hanno davvero bisogno questi lodigiani?
«Del lavoro, molti sono in cassa integrazione o sono stati licenziati, i giovani non hanno un’occupazione. Oggi ci sono anche molti anziani, un fenomeno che dal 2005 al 2009 non si vedeva, con 400-500 euro di pensione non ce la fanno a pagare le utenze. Poi c’è la casa, le abitazioni sfitte dell’Aler potrebbero essere utilizzate attraverso un percorso comune tra prefetto, tribunale, sindacati e istituzioni. In questo modo si potrebbe prevedere di aiutare quei casi più drammatici».
Lei è un’esponente di Rifondazione comunista, tra i suoi sostenitori ci sono però molte persone distanti dal mondo della sinistra. Come si è creata questa rete?
«La mia “chiamata in campo” è partita proprio dalle organizzazioni con le quali ho lavorato in questi anni. Mi ha stupito la quantità delle persone che ha deciso di sostenermi, alla base ci sono dei valori condivisi, l’ascolto e la tutela della gente».
Come si pone rispetto all’esigenza di rinnovamento?
«Credo sia fondamentale che la prossima giunta adotti un metodo collegiale, con un’equità tra gli uomini e le donne presenti nella squadra. Per le nomine nei cda mi aspetto che prevalga la competenza, di certo è un terreno da migliorare, attraverso la partecipazione dei cittadini. Il “bilancio sociale” stilato dal mio assessorato, che permette a tutti di approfondire o criticare il lavoro svolto, dovrebbe essere applicato a tutti i settori».
Greta Boni
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