Anche se la scossa di domenica scorsa in provincia di Reggio Emilia si è fatta sentire, così come era stato qualche anno fa per quella di Salò, il territorio lodigiano non viene considerato dalla normativa oggi in vigore “a rischio sismico”, come è ben evidenziato nel Programma di previsione e prevenzione di protezione civile della Provincia. In passato però il territorio è stato soggetto a diverse scosse. E le carte dei geologi indicano che due faglie, le fratture del sottosuolo in cui avvengono le frizioni che causano i terremoti, passano appena sopra e appena sotto la nostra provincia.
A spiegare questa apparente contraddizione è il geologo Giovanni De Felice, per anni direttore dell'Arpa di Lodi e autore, negli anni 70, della sezione “terremoto” dell’annuario ecologico della Lombardia. «Ricordo che nel Lodigiano si evidenziava in particolare un terremoto attorno all’anno Millecinquecento, con il crollo do muri - spiega il geologo - ma teniamo conto che allora si ricominciava appena a utilizzare le malte. Probabilmente si trattava di edifici vetusti o mal costruiti, come, a mio parere, quelli che settimana scorsa sono crollati in Romagna».
«Non direi che il Lodigiano è a rischio sismico - prosegue quinti De Felice -: i terremoti sono sommovimenti di strutture rigide, rocce ignee formatesi per raffreddamento dei magmi. Sotto il Lodigiano abbiamo centinaia di metri di sedimenti alluvionali, più sotto ancora i sedimenti marini, che affiorano ad esempio a San Colombano, e solo più sotto le rocce ignee, che affiorano alle pendici dei monti, nella zona pedemontana a nord, dove però le Alpi sono una struttura geologica più antica e quindi più stabilizzata, o in quella appenninica a sud, più recente».
Eppure appena sessant’anni fa gli strumenti localizzarono un quinto grado Richter sotto Ossago: «Non creò alcun danno in superficie - ricorda il geologo - proprio per il motivo che i sedimenti, molto meno compatti delle rocce ignee, rallentano la propagazione dell'onda sismica, disperdendone l’energia di arrivo in un maggiore tempo. Se si verificasse sotto il Lodigiano un evento come quello dell’Emilia, che è stato peraltro di intensità paragonabile a quello dell'Aquila, lo sentiremmo molto meno rispetto a quanto accaduto nella piana romagnola, perché il Lodigiano è ancora più lontano dalle pendici delle montagne, è al “livello zero” della Pianura Padana, quello del Po, dove più spesso è lo strato di sedimenti che fanno da “cuscinetto” a eventi che avvengono a chilometri di profondità. E ritengo inoltre che le faglie che lambiscono il Lodigiano siano peraltro poco attive, e ormai stabilizzate. Piccoli movimenti ci possono essere, ma non con grande energia».
Il “Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 463 a.c. al 1990 d.c.” dell’Istituto Nazionale di Geofisica cita 19 sismi percepiti a Lodi. Nel Programma provinciale si ricorda che nel 1197, secondo alcune fonti storiche, non da tutti condivise, “crollò gran parte della città” e che il 22 febbraio 1346 “il terremoto provocò il crollo di case, la caduta di alberi e il coinvolgimento di molte persone”; il 26 marzo 1511 “la scossa fece tremare gli edifici“, e secondo alcune fonti ci sarebbero state scosse anche in agosto e in autunno, il 25 febbraio 1695 “causò lesioni alla volta del Duomo e all'Incoronata”, il 12 maggio 1802 “la scossa fu violenta e provocò fenditure nell'episcopato. Danni a chiese e all’ospedale”. La varietà di fonti storiche porta inevitabilmente a elenchi di sismi del passato differenti tra di loro. Ma nessuno parla di vittime.
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