Vertice NATO a Vilnius: un momento decisivo non solo per la guerra in Ucraina
Si faranno nuovi passi per l'ingresso di Kiev nell’alleanza, ma si parlerà anche della corsa al riarmo dei Paesi membri e delle prospettive future del Patto atlantico
Durante il summit dei leader dei 31 Paesi membri della NATO in corso da oggi a Vilnius, in Lituania, saranno presentati tre elementi per avvicinare l’Ucraina all’Alleanza atlantica.
Il primo elemento è un programma pluriennale di assistenza per la difesa e la sicurezza dell’Ucraina, inclusa l’assistenza medica militare. Il secondo elemento è la creazione di un Consiglio NATO-Ucraina per consultazioni e decisioni su come affrontare questo momento di crisi. Il terzo elemento è il riaffermare l’obiettivo di far diventare l’Ucraina un membro della NATO: gli alleati sembrano concordi nell’idea che prima o poi il paese di Zelenski debba far parte dell’alleanza, ma non ci sono dettagli sulle modalità di adesione. Sicuramente, l’adesione non può avvenire finché la guerra è in corso, perché comporterebbe un inevitabile allargamento su scala mondiale delle ostilità, ma secondo i paesi membri, proprio l’aver lasciato l’Ucraina a “metà del guado” dopo le promesse del summit di Bucharest, ha spinto la Russia ad aggredire la nazione confinante.
Se nel 2019 lo stesso Macron aveva parlato di “morte cerebrale” per l’Alleanza atlantica, la NATO si è risvegliata con la guerra ucraina, che è servita proprio a dimostrare la necessità del Patto. Così, la NATO dovrebbe decidere in questi giorni di implementare nuovi piani regionali per la difesa e la deterrenza contro quelli che sono visti come i due principali nemici: la Russia e il terrorismo. Si parla anche dell’incremento della spesa dedicata agli armamenti: undici paesi sui 31 totali, infatti, nel 2023 spenderanno almeno il 2 per cento del Pil nella difesa, e nel 2024 aumenterà ancora il numero degli alleati sopra questa soglia, che era stata presa come impegno dieci anni fa con scadenza proprio al 2024.
L’Italia ha già introdotto, proprio con l’allora ministro alla Difesa, il lodigiano Lorenzo Guerini, una programmazione pluriennale della spesa militare, che ha portato ad un incremento dell’investimento in armi, ma la quota è ancora all’1,46 per cento (complice la crescita del Pil, che ha modificato il rapporto). Il percorso concordato per arrivare al 2 per cento scade però, per l’Italia, nel 2029. Nel frattempo alcuni alleati puntano già al 3 per cento, in una vera e propria corsa al riarmo le cui conseguenze sono imprevedibili, mentre il capo del Comitato militare Nato Rob Bauer agita nuovamente lo spauracchio della Russia, definendola come una minaccia seria nonostante su tutti i media si parli da mesi della debolezza di una tigre invecchiata e umiliata.
Nel frattempo, gli alleati hanno riconfermato per un anno il segretario generale: sembra che un candidato italiano per la successione avrebbe messo d’accordo i Paesi membri, ma questo candidato, al momento, non è arrivato.
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