Violenze, a processo psichiatra di Lodi

Proseguirà nell’aula del tribunale di Lodi la battaglia dello psichiatra A.M., 55 anni, di Lodi, a lungo in servizio nel reparto di Codogno, per professare la sua innocenza: all’esito di una lunga e combattuta udienza preliminare ieri il professionista è stato rinviato a giudizio, con l’accusa di violenza sessuale a carico di sei ex pazienti. Consenzienti all’epoca dei fatti, questa una delle linee difensive, ma poi pentite al punto di raccontare tutto ai carabinieri e soprattutto, secondo la procura della Repubblica potenzialmente vittime di un “abuso di autorità” che, da codice penale, può essere sufficiente per integrare il reato. Donne che avevano tra i 18 e i 35 anni e che si erano rivolte al medico, anche a lui indirizzate dall’Azienda ospedaliera, per disturbi psichici, a partire dalla depressione. E che per terapia dovevano assumere anche psicofarmaci. Tre delle parti offese si sono costituite parte civile. L’Azienda ospedaliera di Lodi è stata citata a sua volta come responsabile civile riguardo a fatti che potrebbero venir ritenuti connessi al servizio pubblico che era assegnato al medico. Il difensore incaricato dall’Ao, Giorgio Bottani, ha insistito per archiviare la posizione del medico. L’avvocato del medico, Olivo Rinaldi, ha tra l’altro contestato l’utilizzabilità dell’incidente probatorio nel quale la pubblica accusa aveva trovato riscontri all’esito delle indagini che erano state condotte dai carabinieri della compagnia di Codogno, prendendo le mosse dalla segnalazione giunta da due giovani ex pazienti alla fine del 2010.

«A mio parere questo procedimento è stato molto ben istruito - osserva l’avvocato Paolo Sorlini di San Donato Milanese, uno dei legali di parte civile in questa vicenda -: sono convinto che, al di là delle numerose eccezioni difensive, questa vicenda fosse inevitabilmente destinata a chiarirsi nel dibattimento, e, da cittadino e da consumatore, ritengo che l’Azienda ospedaliera sia il primo soggetto ad aver interesse a che si accerti la verità dei fatti. Queste donne erano utenti dell’Ao, questo psichiatra lavorava per l’Ao. Il rinvio a giudizio, in un’ottica di chiarimento e ricostruzione dell’accaduto, può anche essere visto come un atto di garanzia, senza alcuna presunzione di colpevolezza. Se però verranno dimostrati rapporti sessuali tra un dipendente pubblico e persone a lui affidate in cura, mia opinione è che questo non rientri in un concetto di normalità».

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