GIORNATA DELLA MEMORIA Il viaggio all’inferno dal Binario 21

La visita al Memoriale della Shoah alla Stazione Centrale di Milano

La prima cosa da fare è oltrepassare il muro dell’indifferenza. Si chiama proprio così: muro dell’indifferenza. Con la parola “indifferenza” incavata a grandi lettere nella superficie. È nell’atrio d’ingresso, impossibile non farci caso. Ed è bello, dopo averlo oltrepassato, trovare scolaresche di ragazzini disciplinati, attenti alle voci dei loro insegnanti. Silenziosi intorno alle stanze della memoria, ai pannelli affissi alle pareti con immagini, date, testi. Poi di fronte al binario 21, ai vagoni merci, quelli veri, che dal quel posto partivano verso l’inferno.

Il Memoriale della Shoah di Milano - nel corpo della stazione centrale, al di sotto dei binari ferroviari ordinari - è un posto meraviglioso. L’aggettivo può sembrare improprio, ma non lo è se anche solo per un attimo lo si riconduce alle origini: la parola greca che traduciamo con “meraviglia” è thauma. E significa angosciante stupore. E non lo è neppure se, sempre per un attimo, lo si riporta al pensiero filosofico greco: alla “meraviglia” impulso del pensiero che tende alla conoscenza. Ed infine non lo è perché riferito ad una struttura esemplare. Con i suoi oltre settemila metri quadri, la biblioteca con trentamila volumi, la banchina delle deportazioni, l’auditorium da duecento posti, il tunnel-osservatorio che proietta i visitatori nell’ignoto. Poi con il “luogo della riflessione”, ricavato in una fossa di traslazione. Poi ancora con le stanze della memoria con video a ciclo continuo che ripropongono le testimonianze di Edith Bruck, Liliana Segre, Nedo Fiano. E, appunto, con il binario 21 dal quale, tra il 6 dicembre 1943 e il 15 gennaio 1945, partirono quindici dei venti convogli RSHA diretti da Milano ai campi di concentramento di Auschwitz, Bergen-Belsen, Ravensbrück, Flossenbürg.

È martedì 24 gennaio, all’interno del Memoriale non ci sono solo scolaresche. Ci sono altri visitatori, in prevalenza su di età. I trentenni e i quarantenni sono pochi, ma forse solo perché è un giorno infrasettimanale. Ci sono anche i tecnici della Rai: stanno preparando il programma, intitolato proprio “Binario 21”, dedicato al Giorno della Memoria e alla testimonianza di Liliana Segre, accompagnata nell’occasione da Fabio Fazio. E c’è anche l’architetto Guido Morpurgo, il progettista, insieme alla collega Annalisa De Curtis, della struttura. «Non abbiamo pensato ad un museo - spiega - ma ad un laboratorio della memoria. Le condizioni del luogo erano molto diverse, dovevamo rendere visibili i meccanismi della deportazione. Alla fase archeologica e di restauro abbiamo associato un’idea di linguaggio contemporaneo». È così. Lo dimostrano i video nelle stanze della memoria, la contenutissima intensità delle luci, la struttura in vetro della biblioteca.

In questo percorso di penombre l’attenzione non può non soffermarsi sui quattro carri merce che ricostruiscono un pezzo di uno dei tanti convogli partiti dal binario 21. Sono piccoli, in legno e ferro, ciascuno con quattro minuscole bocche d’aria. Tornano in mente le parole di Primo Levi, rilette pochi minuti prima su uno dei pannelli affissi alle pareti:«Vagoni merci, chiusi all’esterno e dentro, uomini, donne e bambini compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo». Su quei vagoni possiamo salire, li possiamo oltrepassare per poi trovarci su un’altra banchina di fronte alla quale c’è un altro muro, il “muro dei nomi”. È una parete luminosa con i nomi di 774 deportati, caricati su due convogli partiti verso Auschwitz il 6 dicembre 1943 e il 30 gennaio 1944. Fra tutti questi nomi ce ne sono 27 che ad intermittenza s’illuminano con caratteri giganti. Sono quelli delle persone che sopravvissero a quei due treni, al campo di concentramento. Perché sì, c’è stato chi dall’inferno è tornato. E ci ha chiesto, e ancora ci chiede, di non dimenticare.

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