Il bisogno di spiritualità e la nuova evangelizzazione

«Educhiamo alla religiosità come incontro, uscendo dall’individualismo»

Viviamo in un’epoca di transizione, in cui i grandi paradigmi religiosi sembrano cedere il passo a nuove forme di ricerca interiore. Sempre più persone si definiscono “spirituali” senza però sentirsi parte di una religione organizzata. Questa tendenza, che da tempo serpeggia nella società contemporanea, trova una conferma precisa nella ricerca del sociologo Franco Garelli intitolata “Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio”.Secondo lo studio, l’80% degli intervistati ritiene possibile vivere una dimensione spirituale senza aderire a una religione specifica. È un dato eloquente, che testimonia come la spiritualità sia sempre meno appannaggio delle confessioni tradizionali e sempre più un terreno di esplorazione individuale. Solo il 19% afferma di vivere una spiritualità legata a una religione; il 27% invece la vive come un cammino personale, una ricerca di armonia con se stessi e con il mondo. Questi numeri raccontano la nascita di una nuova sensibilità: una spiritualità non religiosa, che si nutre di esperienze personali, frammenti di saggezza presi qua e là, pratiche come la meditazione, il contatto con la natura, il silenzio. Mentre il 17% dichiara di non avere alcuna vita spirituale e l’11% non sa come definirla, emerge con chiarezza una doppia tendenza: da un lato il modello tradizionale, “verticale”, legato ad una spiritualità aperta al trascendente, tipico delle religioni storiche; dall’altro, un modello “orizzontale”, più immanente, che punta al benessere, all’equilibrio personale, all’armonia interiore.

La distinzione si fa ancora più netta tra i giovani. Un terzo afferma di non vivere alcuna forma di spiritualità, mentre i due terzi che la ricercano lo fanno secondo una prospettiva orizzontale, personalizzata, lontana dalle comunità di fede. Pochissimi fanno riferimento alla spiritualità cristiana in modo esplicito. I giovani costruiscono il proprio universo interiore come un “patchwork” spirituale: prendono ciò che risuona, ciò che serve alla loro crescita, senza preoccuparsi di coerenza dottrinale o appartenenza. Tutto questo ci parla di una trasformazione profonda: si sta passando dalla comunità al soggetto, da una fede vissuta insieme, come esperienza condivisa, a una spiritualità intimistica, frammentata e spesso fragile. Il rischio di questa deriva è evidente: una spiritualità autoreferenziale, che si consuma nell’isolamento, nella mancanza di relazioni profonde, nell’assenza di una narrazione comune che orienti e sostenga.

Tuttavia, in questa frattura culturale si apre anche uno spazio nuovo di evangelizzazione. Le nostre comunità sono oggi chiamate a intercettare questa sete di senso, a non liquidare con superficialità i percorsi individuali, ma ad accompagnarli, educandoli all’incontro con l’altro e con l’alterità.La sfida è grande: rendere la spiritualità di oggi non solo un fatto interiore, ma anche relazionale, capace di aprirsi al dialogo, alla solidarietà e alla trascendenza. La fede, per non diventare un’esperienza solitaria, ha bisogno di comunità vive, capaci di accogliere, di testimoniare, di proporre. Serve un linguaggio nuovo, ma anche la fedeltà a un’esperienza antica: quella di un Dio che si fa prossimo e di una spiritualità che si realizza pienamente solo quando esce da sé per incontrare l’altro.

È tempo, allora, di educare alla spiritualità come incontro, come relazione, apertura e sbilanciamento verso l’alterità, come cammino comune, come dialogo tra interiorità e trascendenza. Perché, in fondo, la domanda spirituale non è mai scomparsa: ha solo cambiato forma. E ci chiede oggi nuove parole, nuovi gesti, nuove comunità capaci di rispondere.

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